Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La questione della revisione degli estimi catastali sollevata dal governo Draghi, rischia di rimanere avvolta nei fumi propagandistici della consueta pantomima tra destra e “sinistra”; con la destra che finge di opporsi a nuove tasse sulla casa e paventa la “via fiscale al socialismo”, mentre esponenti della “sinistra” si espongono, in nome del politicamente corretto, come zimbello e falso bersaglio agli odi del ceto medio che teme nuove spoliazioni.
Quando si tratta di tasse occorre tenere conto sia dell'effetto annuncio, sia dell’effetto inquietante delle false rassicurazioni. Rivedere gli estimi catastali è un’operazione complessa e costosa, perciò risulta inattendibile la promessa del governo di non utilizzare i nuovi dati per aumentare il gettito fiscale sulla casa, compresa quella di abitazione; tanto più difficile da credere, visto che la promessa proviene da un governo che ha appena ammesso di aver imposto il Green Pass con un scopo diverso da quello dichiarato dalla legge istitutiva. Il timore, più che fondato, è che la revisione degli estimi prepari una reintroduzione della tassazione sulla prima casa, magari con l'alibi iniziale di colpire solo gli alloggi di lusso. Quando i ricchi dicono che bisogna far pagare i ricchi, allora è certo che stanno andando a riscuotere dai poveri. La prospettiva di un aumento dell'imposizione fiscale sugli immobili, comunque ha già di per sé un effetto depressivo sul loro valore, quindi il risultato immediato è una nuova spinta alla deflazione.
Per le banche la perdita di valore degli immobili non è una buona cosa, poiché significa svalutazione delle garanzie alla base dei loro prestiti; ma è invece un ottima cosa per la cannibalizzazione delle banche da parte dei grandi fondi di investimento, cioè per la concentrazione dei capitali. Si parla molto di rischi inflazionistici, e un po’ di inflazione sarebbe ossigeno per i debitori; ma le scelte del governo vanno nel senso opposto, cioè di preservare il valore dei crediti.
Significa qualcosa anche il fatto che l'implosione dell'Unione Sovietica del 1991 presenti una coincidenza temporale con l’istituzione delle prime imposizioni patrimoniali sulla casa, iniziate appena l’anno dopo. In Italia fu il governo Amato, con il pretesto dell’emergenza finanziaria, ad istituire l’ICI, antenata dell’IMU, che allora colpì anche la prima casa. Finita la concorrenza ideologica del modello sovietico, il Trattato di Maastricht del 1992 diede avvio a quella mobilità dei capitali che poneva definitivamente la proprietà immobiliare nella condizione di debolezza nei confronti della finanza globale, cioè la lobby dei grandi creditori. Anche a sinistra molti considerarono la fine del comunismo sovietico come una vittoria della liberal-democrazia. In realtà, insieme con il comunismo venivano liquidate tutte le ideologie tradizionali, come la socialdemocrazia e il liberalismo, ed anche le annesse tecniche di potere come il parlamentarismo a base partitica, che è rimasto un mero simulacro.
Nell’epoca della mobilità assoluta dei capitali l’emergenzialismo è diventato la nuova ideologia dominante, la nuova tecnica di potere e la nuova falsa coscienza. L’emergenza è il linguaggio congeniale al lobbying che, per spingere i propri interessi, enfatizza ogni narrazione in termini di catastrofe e di palingenesi. L’emergenzialismo non è soltanto uno strumento per giustificare l’assistenzialismo per ricchi, ma anche un modo per eliminare gli ammortizzatori sociali, cioè le garanzie del lavoro, le pensioni e la proprietà della casa.
A differenza dei capitali in movimento, la proprietà immobiliare è facilmente tassabile, e le tasse sugli immobili ne deprimono il valore, perciò gli immobili possono essere acquisiti facilmente da chi detenga risorse finanziarie. Il ceto medio non serviva più alla finanza globale in funzione anticomunista, perciò si poteva cominciare a depredarne i risparmi, soprattutto quelli tesaurizzati nel mattone. Le grandi istituzioni sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale sono stracariche di lobbisti dei grandi fondi di investimento, perciò è ovvio che abbiano da sempre sponsorizzato le tasse sulla casa. Le imposte patrimoniali favoriscono la concentrazione della ricchezza, sia finanziaria sia immobiliare, nelle mani di soggetti multinazionali.
Il politicamente corretto in versione fiscale ha anche un altro figlio, le ecotasse. Draghi ha risposto alle critiche di Greta affermando che non è vero che i politici fanno “bla bla bla”, ma devono convincere le persone. Insomma, è il popolaccio egoista che non vuole sobbarcarsi i costi della lotta al riscaldamento globale, ma l’illuminato Draghi ha promesso che la Carbon Tax, la tassa sulle emissioni di carbonio, sarà all'ordine del giorno del prossimo G20.
Il FMI e l’OCSE insistono sull’istituzione della Carbon Tax da prima che Greta nascesse, e hanno dato spazio alla nuova star dei social proprio perché era il soggetto ideale per verniciare quella proposta di giovanilistico “progresso”. Dal 2013 la proposta è diventata ufficiale e sono cominciate le pressioni delle istituzioni sovranazionali sui governi per imporla.
In Italia l’ex dirigente del FMI Carlo Cottarelli si è molto speso per lanciare la Carbon Tax, solo che Cottarelli è deprimente e non se lo filava nessuno. Grazie alla sgargiante Greta invece la Carbon Tax è diventata una bandiera della riscossa delle giovani generazioni contro il disastro ambientale.
Mentre gli effetti delle ecotasse sulla riduzione dell'inquinamento rimangono molto dubbi, non vi sono invece incertezze sulla loro efficacia a favore della concentrazione dei capitali. Le ecotasse mettono fuori mercato molte aziende che non possono sostenere i costi dei nuovi brevetti “green”, perciò c’è una spinta alla concentrazione monopolistica. Le multinazionali che detengono i brevetti “green” vedono crescere il loro valore azionario, perciò i grandi fondi di investimento come Blackrock si indirizzano da quella parte.
L'aumento delle bollette energetiche e del prezzo della benzina consentono inoltre di scaricare i costi della “transizione ecologica” sull’utenza. I fiumi di liquidità monetaria immessi dalla BCE con i PEPP e i Quantitative Easing rimangono nella finanza e non vengono mai destinati ai governi per essere investiti nella transizione “green”. Sono invece i poveri a dover versare, come al solito, l'elemosina ai ricchi per finanziare la presunta riconversione energetica. Ammesso che poi la riconversione energetica avvenga davvero. Quanto petrolio, quanto metano, quanto carbone saranno necessari per costruire pale eoliche e batterie al litio?
Il dio cristiano prometteva la vita eterna, mentre il dio vaccino si è ridotto a promettere la dose eterna. La vicenda della vaccinolatria si è svolta all’opposto del crescendo rossiniano, una sorta di “decrescendo vacciniano”: se ti vaccini hai l'immunità; no, non hai l'immunità ma se ti vaccini non ti ammali, ma se ti ammali non vai in terapia intensiva, ma se vai in terapia intensiva non muori, ma se muori hai la soddisfazione che i morti non vaccinati sono di più, ma se poi i morti vaccinati sono di più è colpa del paradosso di Simpson. Non c’è da stupirsi del fatto che i lobbisti televisivi del business vaccinale diventino sempre più nevrastenici.
Una identica sindrome del decrescendo sembra aver colto il Green Pass, la cui promessa di garantire ambienti sicuri è già sfumata. Anche la storiella del Green Pass come strumento per costringere alla vaccinazione ormai fa acqua da tutte le parti. Mentre Romano Prodi presenta il lasciapassare come un capolavoro del “genio italiano”, altri cominciano a spiegarlo con il genio narrativo del lobbying digitale.
Il lobbying della digitalizzazione ha invaso le stanze delle istituzioni europee. Le multinazionali del settore, da Microsoft a IBM, hanno speso, a livello ufficiale, circa 100 milioni di euro per allestire le reti di lobbying, ma la spesa sommersa dovrebbe essere molta di più. I lobbisti da tempo sono i veri redattori delle leggi e “allevano” politici e funzionari che pendono dalle loro labbra per sapere cosa pensare.
I lobbisti di professione vendono i propri servizi, che prevedono la manipolazione dei media, dei politici e dei funzionari. Già il nome di queste agenzie di lobbying annuncia che la loro narrativa per promuovere i prodotti non avrà freni. Ce n'è una che si autoproclama “laboratorio di utopia”.
Una delle maggiori risorse del lobbying è quello del “non profit”, un paradiso fiscale tenuto al riparo dalle tasse grazie a ipocrisie pseudo-legali che dissimulano i conflitti di interesse. Associazioni come la non profit “The Future Society” promuovono la digitalizzazione spacciando il lobbying come progettualità sociale, un alibi mitologico per ammantare di ordine il caos degli affari ed il parassitismo privato sul denaro pubblico.
Il paradosso è che queste ONG che promuovono la digitalizzazione sono riconosciute a tutti gli effetti come organizzazioni di lobbying. La finzione sta nel fatto di considerarlo un lobbying disinteressato, finalizzato al progresso umano e sociale.
L’associazione “The Future Society” a sua volta rientra nell'orbita di ONG non profit più grandi, di cui una ha un nome particolarmente magniloquente: World Government Summit, cioè Vertice del Governo Mondiale, un'organizzazione che tiene i suoi forum a Dubai. La retorica del governo mondiale crea anche un alone di cospirazione globalista, che serve a distrarre l’opinione pubblica dagli affari, con l’effetto anche di screditare preventivamente ogni denuncia dei conflitti di interesse etichettandoli come complottismo. Politici, funzionari governativi, ma anche uomini della cultura e dello spettacolo, vengono invitati ai lavori per alimentare nei soggetti da manipolare l’euforia e l’illusione di essere accolti nel mondo delle persone che contano.
A Davos, in Svizzera, si riunisce un'altra organizzazione, anch’essa inesorabilmente non profit: The World Economic Forum, fondata, per il solito bene dell’umanità, dall’economista Klaus Schwab. Davos è diventata una vetrina per l'esibizione dei “leader” mondiali, con tanto di spreco di denaro pubblico per garantire la sicurezza dei partecipanti al forum.
Klaus Schwab si è dimostrato un notevole affabulatore. Ha infatti scritto un libro per narrarci della “quarta rivoluzione industriale” che sarebbe in corso. In Italia il libro è stato pubblicato con la prefazione di quel fine intellettuale che è John Elkann. In questo testo abbiamo un saggio di narrativa tipica del lobbying: la storiografia preventiva, l’epopea di una rivoluzione/palingenesi che si deve ancora consumare.
Peccato che la montagna della produzione mitologica sulla quarta rivoluzione industriale stia partorendo topolini come il Green Pass. I vaccinati dovrebbero sentirsi parte di uno status superiore per il fatto che i no-vax vengono discriminati e impediti a respirare la stessa aria dei redenti. Intanto però i vaccinati sono costretti a girare anche loro con un lasciapassare interno, come ai tempi del cardinale Richelieu. Questi sarebbero il progresso e il futuro. E poi il tracciamento operato dal Green Pass è troppo sfacciato, mentre il senso dell’economia delle app avrebbe dovuto essere quello di favorire l'auto-tracciamento dei consumatori, scaricando una app dopo l’altra, infilandosi spontaneamente nella rete dell’offerta sempre più personalizzata di servizi, in base alle informazioni tracciate con le app precedentemente scaricate.
Strano che nell’epoca in cui la Banca Centrale Europea inonda la finanza di liquidità, non si sia trovato un modo più sostanzioso per premiare i vaccinati, magari con uno sgravio sull’IRPEF. Il problema per le oligarchie è che bisogna conciliare le piogge di liquidità monetaria con la deflazione, cioè con la compressione dei redditi da lavoro, altrimenti i poveri se ne potrebbero approfittare e salterebbero le gerarchie sociali. L'iper-produzione mitologica del lobbying è del tutto funzionale a questa dicotomia nella distribuzione del reddito. La legge inesorabile del “capitalismo” (cioè dell’assistenzialismo per ricchi) è che più scende il livello dei redditi da lavoro, più deve aumentare il livello delle cazzate con cui il potere lo giustifica: più scende la lancetta del redditometro, più sale la lancetta del cazzatometro.
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