Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Sabato scorso si è svolta a Roma una manifestazione contro la “violenza di genere”, cioè la violenza maschile contro le donne. I media hanno evocato a riguardo una sorta di emergenza “femminicidio” in Italia.
L’anno più recente in cui la statistica sugli omicidi in Italia risulta pienamente aggiornata è il 2017. In base a questi dati, si registrerebbe in Italia un calo costante degli omicidi, che collocherebbe il nostro Paese ai gradi più bassi della graduatoria europea per reati di sangue. Non solo in Paesi comparabili al nostro, come Francia, Germania e Regno Unito, il tasso di omicidi risulta superiore all’Italia, ma persino in Paesi considerati “modello”, come Svezia e Danimarca, da cui non te lo aspetteresti proprio. Meno violenti dell’Italia sono invece Paesi come la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna, a smentita del luogo comune del “sangre caliente”.
Il costante calo degli omicidi in Italia può essere in parte spiegato con l’invecchiamento medio della popolazione, dato che è difficile fare agguati quando si è afflitti da artrosi e prostatite. La maggioranza delle vittime di omicidi è ancora costituita da uomini. La diminuzione degli omicidi legati ad attività criminali, fa statisticamente risaltare la quota degli omicidi in ambito familiare, nei quali è piuttosto consistente la quota di donne uccise. Mentre la criminalità comune sposta i reati in ambiti meno cruenti, da colletti bianchi, come le frodi informatiche e il riciclaggio, la famiglia rimane invece un luogo di violenza fisica e morale nei termini tradizionali. D’altra parte se vi fosse davvero una “violenza di genere”, questa dovrebbe proiettarsi ben oltre la famiglia, ma di ciò, almeno statisticamente, non c’è ancora nessuna traccia.
Le oligarchie finanziarie e industriali sono rigorosamente costituite da maschi bianchi, in maggioranza di origine anglosassone o germanica, quindi in quel caso la criminalizzazione preventiva del genere maschile non attecchisce per niente. Funziona invece benissimo in altri ambiti, come la Scuola. Secondo i dati OCSE, tende ovunque a diminuire la quota maschile di insegnanti, ma il fenomeno sembrerebbe molto più significativo in Italia, dove i maschi sono stati di fatto estromessi dalla Scuola Elementare.
Visto che non siamo più ai tempi del Maestro di Vigevano, che lasciava la Scuola per inseguire sogni di arricchimento nell’industria, la causa va probabilmente ricercata in un’opinione pubblica sempre più sospettosa e ostile alla presenza di maschi a contatto con bambini. D’altra parte gli stessi metodi utilizzati per criminalizzare preventivamente il genere maschile, potranno essere reimpiegati per criminalizzare anche il genere femminile; infatti l’OCSE presenta la femminilizzazione della Scuola come un problema per il processo educativo. Nella Scuola primaria e nella Scuola dell’Infanzia la criminalizzazione degli insegnanti maschi è servita per aprire la strada alla criminalizzazione della categoria degli insegnanti nel suo complesso. Siamo già alle condanne nei confronti di maestre per la generica accusa di aver “urlato”.
L’Uomo Ragno diceva che ad un grande potere corrisponde una grande responsabilità. L’Uomo Ragno è una fiaba e infatti la realtà funziona nel modo esattamente opposto: maggiore è il potere che si esercita, maggiore è la capacità di deresponsabilizzarsi e di colpevolizzare invece i deboli per ogni cosa. Il moralismo è un linguaggio del potere che ritorce l’ansia di giustizia degli oppressi contro di loro.
La criminalizzazione preventiva di chi non deteneva e non detiene i mezzi per nuocere, è quindi diventata una costante dell’attuale “governance”. Si può infatti riscontrare che non colpisce solo i generi ma anche le generazioni. Mentre le oligarchie mondialiste rimangono in gran parte felicemente gerontocratiche, in ambito sociale invece gli anziani sono additati dai media come nemici e parassiti delle giovani generazioni. Viene addebitato alla responsabilità della vecchia generazione sia il debito pubblico italiano, sia il riscaldamento globale. Non a caso la propaganda ha bollato anche un’inezia come la “Quota 100” nei termini di un furto ai danni dei giovani.
A ciò si aggiunge la criminalizzazione preventiva delle categorie, in particolare i lavoratori del Pubblico Impiego, invariabilmente catalogati come “fannulloni” e “furbetti”. La ministra delle Pubblica Amministrazione del passato governo, Giulia Bongiorno, aveva introdotto un sistema di rilevamento biometrico delle impronte digitali dei dipendenti pubblici per evitare le presunte frodi dei cartellini scambiati. I ministri sono solo passacarte, perciò la Bongiorno non aveva fatto altro che adeguarsi al trend imposto dalle lobby che contano.
L’attuale governo sembra aver abolito la norma, riconoscendo che aveva un carattere di criminalizzazione preventiva di un’intera categoria. La sensazione però è che il provvedimento firmato dalla Bongiorno sia stato solo rimandato poiché non sono ancora a disposizione della Pubblica Amministrazione le infrastrutture tecnologiche per attuarla. Di fatto il concetto era passato senza che vi fossero reazioni significative da parte di una pubblica opinione ormai addestrata all’odio di categoria. È banale e forse riduttivo evocare in questo caso il “divide et impera”, poiché c’è di peggio: si educa una società ad invocare catene dai suoi carnefici.
Per i prossimi anni si apre quindi uno scenario in cui la crescente criminalizzazione di ogni settore sociale andrà a legittimare forme di controllo sempre più invasive. Si prepara una “biometrizzazione” di massa?
Nei giorni scorsi l’autorevole agenzia ANSA ha prodotto una delle sue tante fake news attribuendo alla “guida spirituale dell’Iran”, l’ayatollah Khamenei, una dichiarazione in cui esprimeva il proposito di “distruggere Israele”. La “notizia” viene smentita già nel corpo dell’articolo, nel quale in realtà la dichiarazione di Khamenei si restringe all’osservazione che una distruzione di Israele non comporterebbe affatto una distruzione degli Ebrei. A questo punto c’è da dubitare anche della traduzione operata dall’ANSA o da chi per essa, andando a capire se effettivamente in quella dichiarazione Khamenei abbia mai pronunciato il corrispettivo persiano della parola “distruggere”.
Si è di fronte alla consueta infantilizzazione dell’opinione pubblica, allevata ad interpretare i contrasti internazionali in base alla contrapposizione tra buoni e cattivi. Se si ricorre ad una propaganda così rozza ed elementare risulta evidente l’intenzione di rafforzare la psicosi del “nemico”, addirittura di inventare i nemici. L’aspetto curioso è che l’Iran come potenza regionale è stato praticamente “inventato” dagli USA, quando nel 2003 decisero di eliminare il contrappeso regionale dell’Iran, cioè l’Iraq a dominanza sunnita di Saddam Hussein. In quel momento però la priorità per gli USA era quella di punire Saddam Hussein per i suoi propositi di sganciarsi dal dollaro e, soprattutto, per il fatto che reinvestiva in loco i proventi del petrolio invece di riciclarli nel circuito finanziario americano.
Dal canto suo Israele non è più un Paese davvero indipendente e ciò dal 1973, anno in cui fu salvato dalla sconfitta con l’Egitto dall’intervento statunitense, tanto che vi sono stati vari segnali di una presenza militare diretta degli USA ed anche di una presenza della CIA nello stesso Israele. Al di là dell’esigenza USA di tenere destabilizzata l’area del Vicino e Medio Oriente (oggi per gli USA c’è in ballo anche il lancio del business del suo petrolio di scisto), c’è però da rilevare che ben difficilmente Israele potrebbe permettersi una situazione di pace o di guerra non guerreggiata. La nascita di Israele si è basata su una contraddizione oggettiva. La grande minaccia per la sopravvivenza dello Stato sionista è infatti quella demografica, in quanto nel giro di una o due generazioni la popolazione israeliana si ritroverebbe molto più minoritaria di quanto già non lo sia ora. Solo uno stato di guerra permanente può consentire ai governi israeliani non solo di giustificare l’apartheid ma, soprattutto, di gestirlo materialmente. In tal modo risulta facile spiegarsi i ricorrenti quanto gratuiti attacchi a Gaza ed anche il bisogno di alimentare lo spauracchio della minaccia iraniana.
Esistono quindi contraddizioni oggettive che prescindono dalle volontà dei singoli e dei popoli. Anche la storica inconsistenza dell’europeismo sta proprio nella totale omissione delle vere questioni sul tappeto.
Oggi gli USA e la Germania si trovano in contrasto a causa della politica economica tedesca. Quando il presidente Clinton autorizzò Kohl ad attuare l’unificazione tedesca, sapeva che ciò avrebbe comportato una colonizzazione tedesca di tutta l’Europa dell’Est. Gli Usa proseguivano unilateralmente la guerra fredda per isolare maggiormente la Russia, quindi la dipendenza economica dell’Europa dell’Est dalla Germania avrebbe facilitato l’integrazione nella NATO dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia.
A “pagare” materialmente i costi del sub-imperialismo tedesco è stato chiamato in parte lo stesso popolo tedesco, che ha visto crollare i suoi redditi. La famigerata riforma Hartz non può essere considerata la causa della deflazione salariale tedesca, bensì un suo effetto. La vera causa è stata la concorrenza ai danni dei lavoratori tedeschi operata tramite le delocalizzazioni produttive nell’Europa dell’Est.
All’opinione pubblica tedesca si deve invece assolutamente far credere di star pagando per quei fannulloni del Sud Europa, altrimenti l’edificio coloniale all’Est potrebbe essere messo sotto accusa con tutti gli effetti negativi per l’equilibrio della NATO. Tutto il castello retorico dell’europeismo si rifiuta sistematicamente di confrontarsi con due dati di fatto: che l’unità europea è nata in funzione della NATO e che le esigenze della NATO tengono costantemente in fibrillazione l’artificioso edificio europeo.
La deflazione tedesca ed il surplus commerciale tedesco, che opprimono la sottomessa Europa del Sud, sono la diretta conseguenza del mandato americano nei confronti della Germania: colonizzare economicamente l’Europa dell’Est. Oggi gli USA contestano alla Germania di aver obbedito alle sue direttive o, quantomeno, contestano alla Germania gli inevitabili effetti di quelle direttive. Il ruolo crescente di potenza regionale della Germania preoccupa gli USA, che scorgono nel controllo continentale da parte della Germania il possibile embrione di una partnership con la Russia. Per non parlare poi dei massicci attivi commerciali della Germania nei confronti degli Stati Uniti.
Bisogna poi vedere quanto la Germania sia effettivamente in grado di adeguarsi ai nuovi desiderata statunitensi. La lobby della deflazione, ovvero la lobby dei grandi “investitori istituzionali”, supera di gran lunga i confini tedeschi; anzi è in gran parte identificabile nei fondi di investimento statunitensi. Questa lobby si è saldata col militarismo della NATO e questo intreccio militar-finanziario di guerra e carestia non può certo essere smosso da questa o quella azione della Germania. In una tale condizione di incertezza il governo tedesco si attiene agli ultimi ordini che è riuscito a comprendere e quindi accelera nella colonizzazione dell’Est e nell’inasprimento della deflazione, anche con l’istituzione del Fondo Monetario Europeo, che rappresenterebbe un vero e proprio tempio del culto deflazionistico.
L’apparente schizofrenia statunitense si spiega col fatto che l’imperialismo procede soltanto per schemi elementari di risposta agli stimoli e non per strategie dotate di un’ampia prospettiva. L’esigenza di isolare e destabilizzare il principale avversario di turno, determina la nascita di nuovi soggetti potenzialmente pericolosi per il dominio imperialistico. La Cina è stata “gonfiata” economicamente in funzione anti-russa proprio dagli USA attraverso l’imposizione della cosiddetta “globalizzazione”. La Cina, super-integrata economicamente con gli USA, viene però percepita adesso dagli stessi USA come una minaccia. Sta capitando la stessa cosa anche all’obbediente Germania. L’aspetto paradossale è che mentre la Cina aspira effettivamente ad un suo ruolo autonomo ed egemone, per lo meno in Asia ed in Africa, invece la Germania probabilmente non ci pensa affatto.
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