Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Molti Libanesi si sono mobilitati nei giorni scorsi per contrastare le privatizzazioni di settori economici strategici decise dal governo Siniora. La stampa "occidentale" ha ovviamente attribuito la mobilitazione ad Hezbollah, la quale è in effetti solo una delle componenti dell'opposizione alle privatizzazioni, che sono avversate dalla gran parte della popolazione, che ne avverte il vero significato.
Distrutto nelle sue infrastrutture da bombardamenti senza precedenti, il Libano deve dipendere ora dagli "aiuti" internazionali, che vengono però condizionati al cedimento della proprietà delle risorse economiche ad imprese private controllate dagli stessi Paesi "aiutanti". In altri termini, i Paesi "occidentali" sono disposti a concedere risorse finanziarie non alla popolazione libanese martoriata, ma solo alle cosche affaristico/criminali che controllano i vari governi del cosiddetto "Occidente", termine che si rivela come la sigla di copertura di queste cosche.
Il colonialismo non è altro che l'estensione a livello internazionale dell'affarismo criminale. Il colonialismo può non seguire a volte una lucida strategia, ma obbedisce sempre a degli schemi ricorrenti, uno dei quali è il corrispettivo puntuale tra affarismo criminale e propaganda moralistica. I colonialisti vanno lì per aiutare, ma i nativi, rozzi e fanatici, non capiscono e si ribellano. Che poi questi nativi siano dei fanatici, è dimostrato dal fatto che si ammazzano anche fra di loro con le armi che gli sono state vendute dai colonialisti, come sta accadendo oggi in Palestina.
Qui non si tratta quindi di fare una denuncia contro-moralistica del falso moralismo che ammanta le operazioni affaristico/criminali, ma di capire che la propaganda moralistica va percepita, in ogni situazione - sia nazionale che internazionale -, come un segnale di qualche operazione affaristica in corso. Se Pietro Ichino e Geminello Alvi moraleggiano dalle colonne dei giornali sul parassitismo dei lavoratori statali, ciò è l'indizio che in quell'ambito si sta conducendo qualche affare inconfessabile.
Un altro equivoco da evitare nell'analisi, è l'identificazione tra affarismo criminale e interesse economico. In base ad una valutazione economica astratta, molto spesso l'affarismo criminale può risultare antieconomico. Dall'osservazione di questa generica antieconomicità, si alimentano tutte le possibili mistificazioni del colonialismo, per cui molti credono che davvero gli Stati Uniti oggi occupino l'Iraq a causa di un loro mal riposto idealismo, o perché manovrati dalla perfida ed onnipotente "lobby ebraica".
In realtà l'affarismo criminale non va confuso con l'economia in genere, ma va individuato come una specifica forma economica, con sue specifiche regole. La propaganda moralistica non è un semplice supporto tattico delle operazioni affaristiche, ma costituisce una di quelle regole costanti e fondanti che lo caratterizzano, infatti l'affarismo criminale è inseparabile dalla criminalizzazione mediatica delle sue vittime di turno.
Ciò che caratterizza l'affarismo criminale nei confronti di altre forme economiche più "silenziose", è proprio questo suo legame organico con l'opinione pubblica, questa sua sinergia tra affaristi e opinionisti.
l'affarismo criminale produce non solo profitti e rendite, ma anche opinione pubblica, per cui non si può concepirlo senza inquadrare il ruolo svolto in esso da una Fallaci, da un Ichino, da un Galli Della Loggia o da un Alvi.
1 febbraio 2007
Da settimane il dibattito politico ripropone l'emergenza pensioni, mentre giornali e telegiornali danno uno spazio crescente a comunicazioni di agenzie europee ed internazionali sulla urgenza di affrontare la crisi previdenziale in Italia. Com'era prevedibile, la recrudescenza della propaganda sulla necessità di una ulteriore riforma delle pensioni ha avuto come immediato effetto pratico un aumento delle domande di pensionamento, per il timore dei lavoratori di incorrere nelle nuove normative, e ciò proprio mentre si parla in astratto di un aumento dell'età pensionabile.
Che questo effetto sia voluto non è la solita ipotesi da liquidare come dietrologica, dato che è confermato dalle dichiarazioni del Ministro delle Riforme Nicolais, che ha dichiarato di voler ridurre il personale della pubblica amministrazione anche tramite incentivi al pensionamento anticipato. Quindi, non soltanto non viene incentivato l'innalzamento dell'età pensionabile, ma è al contrario il prepensionamento che viene favorito.
I conti pubblici ed i conti previdenziali non c'entrano nulla con le continue minacce di riforma delle pensioni, poiché lo scopo perseguito è quello di ridurre al massimo il lavoro stabile per sostituirlo con lavoro precario o non sostituirlo affatto. Nel processo di precarizzazione rientrano anche la propaganda sulla necessità di inserire il merito e la valutazione nella gestione del lavoro. Si tratta di un discorso astratto e demagogico che può facilmente riscuotere il consenso da un'opinione pubblica ormai indottrinata da decenni su questi temi.
In realtà è scontato che la valutazione può facilmente diventare essa stessa - sia se condotta da organi interni che affidata a organi esterni - un momento di potere clientelare se non dichiara preventivamente le sue procedure e le sue garanzie. Gli articoli che Pietro Ichino da tempo dedica a questa materia, si ammantano di una retorica efficientistica, ma appena li si analizza denotano il loro carattere di generici appelli moralistici.
Perciò anche questa propaganda non ha altro effetto pratico che spaventare il personale, spingendo coloro che già possono ad andare in pensione.
Questa linea, nell'ambito della pubblica amministrazione, si scontra ancora con i limiti oggettivi imposti dall'organizzazione del lavoro, mentre nel settore privato tutto ciò si è già risolto in una accentuazione del processo di deindustrializzazione iniziato più di trenta anni fa. È evidente che una società divisa fra precari, pensionati e clandestini non ha molte risorse per competere, ma in compenso può essere tenuta in una condizione permanente di conflitto generazionale ed etnico. Questi sono i lineamenti inconfondibili di un processo di colonizzazione, la cui profondità e gravità sfugge a causa della cortina di propaganda che l'avvolge. La propaganda ufficiale è riuscita infatti ad annullare qualsiasi traccia di pensiero concreto.
In una visione astratta del capitalismo può apparire priva di senso una ristrutturazione del lavoro che risulti così onerosa per l'apparato previdenziale. Occorre uscire perciò dalle analisi strettamente economicistiche per integrare il concetto di capitalismo con quello di colonialismo. In una logica colonialistica è perfettamente logico che i costi del processo di colonizzazione vengano scaricati sullo stesso Paese colonizzato.
Il dissesto delle previdenza sociale non è quindi un evento paventato, ma al contrario pianificato, è un costo necessario fatto pagare all'Italia, per neutralizzare la stessa Italia come concorrente e renderla una colonia commerciale degli Stati Uniti.
Da settimane il dibattito politico ripropone l'emergenza pensioni, mentre giornali e telegiornali danno uno spazio crescente a comunicazioni di agenzie europee ed internazionali sulla urgenza di affrontare la crisi previdenziale in Italia. Com'era prevedibile, la recrudescenza della propaganda sulla necessità di una ulteriore riforma delle pensioni ha avuto come immediato effetto pratico un aumento delle domande di pensionamento, per il timore dei lavoratori di incorrere nelle nuove normative, e ciò proprio mentre si parla in astratto di un aumento dell'età pensionabile.
Che questo effetto sia voluto non è la solita ipotesi da liquidare come dietrologica, dato che è confermato dalle dichiarazioni del Ministro delle Riforme Nicolais, che ha dichiarato di voler ridurre il personale della pubblica amministrazione anche tramite incentivi al pensionamento anticipato. Quindi, non soltanto non viene incentivato l'innalzamento dell'età pensionabile, ma è al contrario il prepensionamento che viene favorito.
I conti pubblici ed i conti previdenziali non c'entrano nulla con le continue minacce di riforma delle pensioni, poiché lo scopo perseguito è quello di ridurre al massimo il lavoro stabile per sostituirlo con lavoro precario o non sostituirlo affatto. Nel processo di precarizzazione rientrano anche la propaganda sulla necessità di inserire il merito e la valutazione nella gestione del lavoro. Si tratta di un discorso astratto e demagogico che può facilmente riscuotere il consenso da un'opinione pubblica ormai indottrinata da decenni su questi temi.
In realtà è scontato che la valutazione può facilmente diventare essa stessa - sia se condotta da organi interni che affidata a organi esterni - un momento di potere clientelare se non dichiara preventivamente le sue procedure e le sue garanzie. Gli articoli che Pietro Ichino da tempo dedica a questa materia, si ammantano di una retorica efficientistica, ma appena li si analizza denotano il loro carattere di generici appelli moralistici.
Perciò anche questa propaganda non ha altro effetto pratico che spaventare il personale, spingendo coloro che già possono ad andare in pensione.
Questa linea, nell'ambito della pubblica amministrazione, si scontra ancora con i limiti oggettivi imposti dall'organizzazione del lavoro, mentre nel settore privato tutto ciò si è già risolto in una accentuazione del processo di deindustrializzazione iniziato più di trenta anni fa. È evidente che una società divisa fra precari, pensionati e clandestini non ha molte risorse per competere, ma in compenso può essere tenuta in una condizione permanente di conflitto generazionale ed etnico. Questi sono i lineamenti inconfondibili di un processo di colonizzazione, la cui profondità e gravità sfugge a causa della cortina di propaganda che l'avvolge. La propaganda ufficiale è riuscita infatti ad annullare qualsiasi traccia di pensiero concreto.
In una visione astratta del capitalismo può apparire priva di senso una ristrutturazione del lavoro che risulti così onerosa per l'apparato previdenziale. Occorre uscire perciò dalle analisi strettamente economicistiche per integrare il concetto di capitalismo con quello di colonialismo. In una logica colonialistica è perfettamente logico che i costi del processo di colonizzazione vengano scaricati sullo stesso Paese colonizzato.
Il dissesto delle previdenza sociale non è quindi un evento paventato, ma al contrario pianificato, è un costo necessario fatto pagare all'Italia, per neutralizzare la stessa Italia come concorrente e renderla una colonia commerciale degli Stati Uniti.
25 gennaio 2007
25 gennaio 2007
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