Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’affermazione in Italia di due movimenti, Lega e 5 Stelle, percepiti all’estero come filorussi, con l’eventualità di un loro possibile accordo di governo, è probabilmente alla base dell’ennesima provocazione antirussa allestita dal governo britannico.
Tutta la narrazione britannica, secondo cui una ex spia russa rifugiatasi nel Regno Unito sarebbe stata eliminata da Putin con un agente nervino, assume contorni fiabeschi, addirittura da nonsense. Già anni fa vi fu una vicenda analoga, il caso Litvinenko, un dissidente russo che anche lui sarebbe stato eliminato da Putin, quella volta con del polonio radioattivo.
Alcuni hanno sarcasticamente commentato l’atteggiamento britannico trattandolo come una recriminazione sul fatto che i servizi segreti russi sarebbero ricorsi a metodi di assassinio iper-tecnologici e macchinosi, invece di adottare il pulitissimo metodo di eliminazione che da un secolo costituisce il marchio di fabbrica dei servizi segreti inglesi, cioè il finto incidente stradale. Si tratta dello stesso metodo “pulito” con il quale sono stati eliminati sia il colonnello Lawrence nel 1935 che Diana Spencer nel 1997.
Al di là degli ovvi (quanto doverosi) sarcasmi, c’è da considerare che, anche nell’irrealistica ipotesi di omicidi al polonio o al nervino, il comportamento del governo britannico appare non congruente. Se si riscontra una falla nei propri sistemi di sicurezza e le spie straniere la fanno da padrone, non lo si strombazza ai quattro venti, ma si va silenziosamente a turare la falla. Putin infatti non è una controparte debole e inerme come fu a suo tempo Gheddafi, incolpato di un attentato aereo non commesso da lui, la strage di Lockerbie, ma ugualmente costretto a versare un risarcimento miliardario, dandogli in cambio l’illusione di essere in tal modo riammesso nel consesso internazionale. Si è visto poi come è andata a finire.
Anche il cialtrone Trump non ha perso un attimo per assumere un atteggiamento colpevolista verso il suo “amico” Putin, ma CialTrump non ha potuto far ricorso alla solita formula minacciosa cara agli USA in queste situazioni, cioè che “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Stavolta le opzioni sono le solite sanzioni economiche e diplomatiche che, come si è visto, rafforzano Putin sia nei confronti dell’opinione pubblica interna che internazionale; quest’ultima sempre meno disposta ad assecondare l’avventurismo “occidentale”.
Ciò che costituisce un nonsenso nel contesto dei rapporti con la Russia, assume però un significato se lo si riferisce alla questione della disciplina interna alla NATO. Non a caso il Presidente del Consiglio Gentiloni non ha esitato ad allinearsi al fronte antirusso adottando in tutto e per tutto la fiaba propinata dalla premier britannica May.
Lega e 5 Stelle affermano di voler aprire un negoziato con l’Unione Europea per allentarne i vincoli sull’economia italiana. Ma dietro l’impalcatura fragile e inconsistente della UE, si staglia ora la vera controparte, anzi il vero padrone della baracca europea, cioè la NATO. Insomma, il messaggio è chiaro: la Russia è il nemico e chi pensasse di privilegiare i propri interessi a quelli dell’assetto imperialistico, farà bene a guardarsi le spalle. La timida e ambigua russofilia di Salvini e Di Maio deve fare i conti con questa realtà.
A parte la pavidità e l’opportunismo dei leader, la questione è più profonda. La russofilia italiana non nasce per una visione strategica di riequilibrio dei rapporti di forza internazionali che consenta all’Italia una maggiore indipendenza e possibilità di manovra. In Italia si è russofili per motivi commerciali, poiché si spera di importare dalla Russia materie prime a buon mercato e poi esportarvi prodotti finiti. Per le imprese italiane l’optimum sarebbe poter stare sotto l’ombrello americano, che garantisce l’inamovibilità dei rapporti di classe sfavorevoli al lavoro, ed al tempo stesso poter commerciare con la Russia. Ma ormai somiglia alla quadratura del cerchio.
Nella vicenda coreana il tentativo statunitense di esasperare i rapporti con la Corea del Nord per riallineare la Corea del Sud, ha condotto addirittura al risultato opposto, cioè al disgelo tra le due Coree ed alla proposta di una loro partecipazione in comune alle Olimpiadi invernali. Per dissuadere la Corea del Sud da questa scelta, CialTrump a gennaio ha cercato di intimorirla sul piano commerciale con dei dazi, ma nemmeno questi hanno sortito risultati, visto che il mese dopo le squadre delle due Coree hanno sfilato assieme alla cerimonia di apertura dei Giochi invernali. (3)
Ma forse la Corea del Sud è una colonia americana suo malgrado. Non è sicuro che si possa dire altrettanto dell’Italia.
La saggezza contadina è riuscita a mettere il dito nella piaga. Un comunicato di Coldiretti di qualche giorno fa avanzava la proposta di cogliere l’occasione dei dazi imposti dal cialtrone Trump all’Unione Europea per abolire le sanzioni economiche alla Russia.
Il problema dunque non è CialTrump ma il fatto che gli Stati Uniti possono permettersi tutto, anche uno come CialTrump. Gli USA si sono potuti permettere di imporre sanzioni alla Russia che hanno fortemente penalizzato l’economia europea ed ora possono permettersi di giocare al gatto col topo nei confronti dell’UE sulla questione dei dazi.
È chiaro che la proposta di Coldiretti cadrà nel vuoto. Non è soltanto questione di forza militare degli USA. Una UE inchiodata al proprio conflitto di classe interno, cioè alla preoccupazione prioritaria di non risollevare il potere contrattuale del lavoro, non può a sua volta permettersi di sfidare il suo tutore imperialistico, quello che garantisce l’inamovibilità dei rapporti di classe.
Come era prevedibile già da qualche anno, gli USA ora possono permettersi anche di apparire come i “liberatori” dell’Europa dal giogo tedesco. Sennonché il presunto “predominio tedesco” sull’Europa era soltanto un sub-imperialismo, cioè un effetto secondario del controllo statunitense sull’Europa formalizzato nella NATO. Anche la colonizzazione tedesca dell’Europa dell’Est era funzionale all’accerchiamento della Russia da parte della NATO.
Sino a tre anni fa sembrava che lo strumento per abbattere il “predominio tedesco” dovesse essere il TTIP, cioè la bandiera del libero scambio. Oggi invece la bandiera USA è quella del protezionismo contro il mercantilismo germanico. Ma la bandiera potrebbe cambiare di nuovo. L’unica costante della politica estera USA è la volubilità dei suoi slogan. Sta di fatto che molti euroscettici si rivelano stracreduloni nei confronti degli USA e sperano in CialTrump per poter tornare a respirare dopo decenni di follie eurocratiche.
L’ipotesi più attendibile sembra invece quella che continui il gioco al gatto col topo o, se si vuole, la presa per i fondelli. Dal “Wall Street Journal” arrivano infatti commenti “rassicuranti”. CialTrump non ci libererà solo dal giogo tedesco ma anche dalla dipendenza dal gas russo e dal petrolio arabo. Basterà comprare il gas liquido che le multinazionali statunitensi ricavano in casa propria col fracking.
Dagli USA arrivano anche ulteriori possibili “terapie” ai dazi. Il segretario al Tesoro USA fa sapere che i dazi potrebbero ammorbidirsi se gli Stati Europei contribuiranno maggiormente alla NATO, cioè compreranno più armi americane.
In realtà è già dall’anno scorso che i governi europei si sono calati le brache di fronte a questa pretesa degli USA. Il più lesto a calarsele è stato, manco a dirlo, il nostro Gentiloni. Eppure i dazi sono arrivati lo stesso.
Intanto il presidente francese Macron cerca di accreditarsi presso CialTrump come il nuovo viceré d’Europa dopo la caduta in disgrazia della cancelliera Merkel. Macron si attende questa investitura per poter aumentare a dismisura la sua già smisurata arroganza. Per quello che valgono le “investiture” USA. In questi anni i Tedeschi sono stati accreditati dal Dipartimento di Stato del ruolo di guardiani sub-imperialistici del super-imperialismo USA, ma pur sempre considerati dagli USA come dei nemici.
L’ipotesi che nei prossimi mesi l’impalcatura della moneta unica imploda si fa sempre più concreta ed il primo governo ad infliggere il colpo definitivo potrebbe essere proprio quello francese, il quale sinora è riuscito abbastanza bene a nascondere i guai delle sue banche, ma non potrà farlo in eterno. Il problema è che l’oligarchia bancaria francese pensa ad una liquidazione dell’euro secondo i propri tempi ed i propri comodi, scaricando la maggior parte dei costi dell’operazione sull’Italia, come è stato già fatto nel 2011 con la crisi del debito greco. In questo senso cantano oggi le sirene del costituendo “asse” franco-italiano, avviato lo scorso gennaio con il “Trattato del Quirinale”.
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