Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Le prime dichiarazioni di papa Ratzinger nel suo viaggio africano hanno fornito immediatamente ai media l’occasione per dividere l’opinione pubblica mondiale sulla questione se sia giusto o meno distribuire preservativi agli Africani per consentirgli di difendersi dall’AIDS. Ne è venuta fuori un’immagine del continente africano ridotto ad un mendicante infetto, e, davanti al suo piattino proteso, l’Occidente si interroga gravemente sul dilemma se sia giusto o meno lasciarci cadere l’elemosina di un profilattico.
Secondo alcuni commentatori, Ratzinger aveva il diritto di sostenere il proprio ruolo di magistero spirituale e di sconsigliare l’uso del preservativo. Ma in questo modo si è spacciata per una questione di libertà di opinione, quello che costituiva in realtà un pretesto per identificare ancora una volta l’Africa con la presunta emergenza AIDS.
Qualunque cosa si pensi sull’attendibilità scientifica dell’AIDS, sta di fatto che questo viene presentato come una sindrome da immuno-deficienza, che, come tale, si esprime con la vulnerabilità ad altre infezioni. Ora, come si stabilisce che il fatto di aver contratto determinate malattie sia dovuto o meno alla presenza del virus HIV? O, meglio ancora, chi lo stabilisce?
Forse le multinazionali farmaceutiche che, anche a detta dei missionari cattolici, attualmente usano l’Africa come continente-cavia per i loro esperimenti?
Ma non è proprio il terrore dell’AIDS a conferire alle multinazionali la giustificazione del loro attuale strapotere?
Certo, c’è anche il giudizio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui grado di serietà ed indipendenza dalle multinazionali farmaceutiche, si è rivelato qualche anno fa, in occasione della emergenza mondiale dell’influenza aviaria, dimostratasi poi del tutto inconsistente.
Secondo la segnalazione di Medici Senza Frontiere e di missionari cattolici, proprio in un Paese che è stato tappa del viaggio africano di Ratzinger, in Camerun, la multinazionale farmaceutica americana Gilead Sciences ha da qualche tempo avviato la sperimentazione farmacologica su vasta scala sulla popolazione, spingendosi al punto da sconsigliare l’uso del preservativo per poter meglio valutare gli effetti di un suo prodotto.
Ciò che sta facendo la Gilead non costituisce di per sé una prova indiretta delle virtù salvifiche del preservativo, che potrebbero essere state enfatizzate da altre multinazionali che ne gestiscono la produzione. È inoltre accertato che la lotta all’AIDS consente alle multinazionali farmaceutiche di sperimentare comodamente gli effetti collaterali di farmaci che hanno tutt’altre finalità terapeutiche. Sta di fatto che la coincidenza delle dichiarazioni papali con le istruzioni della Gilead, avrebbe comunque dovuto preoccupare Ratzinger e spingerlo, quanto meno, a qualche precisazione a riguardo; ma così non è stato.
Secondo le dichiarazioni rilasciate nel suo viaggio, per Ratzinger, i problemi dell’Africa derivano esclusivamente dal tribalismo e dalla corruzione, mentre le multinazionali rappresentano presenze mistiche che non possono neppure essere nominate, figuriamoci criticate o sospettate. Su pressione di alcuni vescovi, Ratzinger ha dovuto inserire nei documenti di carattere interno almeno qualche vago riferimento all’azione negativa svolta in Africa da forze internazionali; ma nelle dichiarazioni pubbliche non ha dimostrato nessuna intenzione di discutere il potere delle multinazionali farmaceutiche e delle istituzioni sanitarie internazionali che le coprono, e neppure di avanzare dubbi sul loro alone di pretesa oggettività scientifica e sul carattere disinteressato della loro ingerenza in Africa.
Un’altra istituzione sovra-nazionale, il Fondo Monetario Internazionale, ha inoltre imposto ai Paesi africani sotto il suo controllo - cioè quasi tutti - la privatizzazione dell’acqua, ed anche questa privatizzazione preoccupa i missionari cattolici, di cui però Ratzinger ha ancora una volta ignorato le denunce.
Neppure il FMI ha a che vedere con i guai dell’Africa?
Dalla fine degli anni ’90, il FMI non concede più prestiti o deroghe sui debiti ai Paesi che non accettino di privatizzare l’acqua, ed anche un Paese ex-socialista come l’Angola ha dovuto sottostare al ricatto. Quando ha fatto tappa in Angola, Ratzinger non ha speso una parola su questa situazione.
Evidentemente la privatizzazione dell’acqua rischia sì di far morire di sete e malattie milioni di Africani, ma non mette a rischio le loro anime e, a quanto pare, neppure quelle dei membri del FMI.
La privatizzazione dell’acqua costituisce un processo mondiale ormai decennale, condotto nel quasi assoluto silenzio dei media, quindi se ne sa poco o nulla. Qualche anno fa, il presentatore Paolo Bonolis volle sostenere la propria nomea di cattolico impegnato, e, nella trasmissione RAI di “Domenica in”, dedicò uno spazio alla questione della privatizzazione dell’acqua nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Pochi giorni dopo quella trasmissione, lo stesso Paolo Bonolis fu oggetto di uno scandalo su quiz truccati, pilotato dalla trasmissione Mediaset “Striscia la Notizia”. Il messaggio intimidatorio evidentemente arrivò a segno, perché né Bonolis, né nessun altro, si è più occupato della questione dell’acqua; tanto che il 6 agosto 2008 il governo Berlusconi ha potuto a sua volta africanizzare l’Italia, decidendo di privatizzare l’acqua con l’articolo 23bis della Legge 133/2008, ciò senza che nessun organo di “informazione” riportasse il fatto. Solo martedì ultimo scorso il comico Maurizio Crozza ha fatto trapelare la notizia della privatizzazione dell’acqua in Italia durante la trasmissione “Ballarò”, perciò non è da escludere che vi sia già in preparazione qualche scandalo che lo coinvolga.
La privatizzazione dell’acqua provoca l’aumento proibitivo del suo prezzo ed il conseguente ricorso delle popolazioni assetate a fonti inquinate. Quali effetti degenerativi sta comportando tutto ciò sull’igiene in Africa?
Ratzinger ha ritenuto più igienico per sé ignorare la domanda; anzi, per mettersi del tutto al sicuro si è arruolato nella guerra psicologica che le multinazionali stanno conducendo contro l’Africa, in modo da spingere sull’acceleratore della loro aggressione coloniale.
Il prossimo 4 aprile la NATO festeggerà il suo sessantesimo compleanno, e la felice ricorrenza sarà ulteriormente allietata dal ritorno all’ovile della Francia, uscita nel 1966 dal comando integrato dell’alleanza per decisione dell’allora presidente della Repubblica francese, De Gaulle. L’attuale presidente francese, il “gollista” Sarkozy, ha spiegato il suo rientro nei ranghi con la necessità di far fronte alle sfide globali del nostro tempo, prima tra tutte il terrorismo.
Nel 1966 l’Unione Sovietica possedeva l’esercito più numeroso del mondo ed una quantità di missili a testata nucleare che, seppure fosse di molto inferiore a quella in possesso degli Stati Uniti, era comunque in grado di distruggere l’intero pianeta anche un paio di volte. Eppure queste minacce, secondo il generale De Gaulle, non erano sufficienti per giustificare la cessione della propria sovranità e del proprio territorio all’ “alleato” statunitense; mentre per il “gollista” Sarkozy basta invece la minaccia del terrorismo per rendere accettabile e urgente la sottomissione alla disciplina NATO.
Ma c’è da essere certi che, in mancanza del terrorismo, a Sarkozy sarebbe bastato come pretesto anche la guida in stato di ubriachezza, o gli scippi o i pensieri impuri prima di addormentarsi.
Dal 1989 la NATO ha perduto ogni legittimità politica e qualsiasi giustificazione strategica, ma ciò non ha affatto impedito l’espansione a macchia d’olio di una “alleanza” militare che, non solo ha saputo sopravvivere alla mancanza di nemici, ma ha dimostrato brillantemente di potersi inventare i nemici volta per volta, a seconda delle esigenze del momento. La NATO vive di pretesti ed è essa stessa un pretesto, perciò Sarkozy per rientrarci poteva inventarsi la scusa che voleva, senza che nessun commentatore ufficiale ci trovasse niente da obiettare. La connivenza della stampa francese nei confronti della scelta di Sarkozy arriva a meno di un anno dalla strage di soldati francesi in Afghanistan - avvenuta nell’agosto del 2008 -, una strage che aveva innescato un acceso dibattito mediatico per placare un’opinione pubblica irritata dall’oscurità dei motivi della partecipazione francese all’avventura afgana. A distanza di un breve lasso di tempo quella polemica appare cancellata dalla memoria dei media francesi.
La Francia non ha sul suo territorio basi NATO o americane, come invece capita non soltanto a Paesi sconfitti nella seconda guerra mondiale, come la Germania e l’Italia, ma anche alla Gran Bretagna, che formalmente è un Paese vincitore, eppure ha parti del suo territorio che sono sotto l’esclusivo controllo degli Stati Uniti. La Francia non subisce un’occupazione militare come altri Stati europei, dispone di un armamento nucleare che è il terzo al mondo per quantità e qualità, perciò avrebbe avuto la possibilità di negarsi alla colonizzazione militare che gli USA operano attraverso la NATO. Tale colonizzazione militare costituisce notoriamente la premessa di un colonialismo commerciale, dato che le basi militari statunitensi veicolano ogni genere di merce illegale nei territori da loro occupati, perciò la criminalità comune del luogo viene arruolata dalle forze armate del Paese occupante in funzione collaborazionistica, con tutti gli effetti di destabilizzazione sociale che ciò comporta.
I business del futuro inoltre si caratterizzano sempre più nel senso della pura oppressione: è il caso della privatizzazione dell’acqua che sta già passando sotto il monopolio delle multinazionali. In Italia il governo Berlusconi ha privatizzato l’acqua nell’agosto scorso, facendo approvare in silenzio dal Parlamento l’articolo 23bis del Decreto 112 del ministro Tremonti, un Decreto diventato la delittuosa Legge 133/2008 (è la stessa legge che ha privatizzato anche i patrimoni immobiliari delle Università e i beni del Demanio dello Stato).
Sarebbe impensabile per le multinazionali gestire un business dell’acqua senza un controllo militare del territorio e della popolazione, ovvero senza avere a disposizione la NATO ed il suo rapporto privilegiato con la criminalità organizzata del luogo. De Gaulle si era rivelato preveggente a voler tenere la Francia fuori da rischi del genere.
Gli Stati Uniti sono invece riusciti in pochi anni a “conquistare” la Francia semplicemente cooptando il suo gruppo dirigente. Secondo il giornalista Thierry Meyssan, il presidente Sarkozy è un agente della CIA: l’ipotesi è plausibile, ma non basta a spiegare l’acquiescenza della potente burocrazia amministrativa e militare della Francia alle decisioni del suo presidente. Anche il coinvolgimento da parte delle multinazionali anglo-americane della compagnia petrolifera francese Total nell’affare del contrabbando del petrolio iracheno, non costituisce un motivo sufficiente a spiegare una decisione irreversibile come quella appena presa da Sarkozy; anzi potrebbe comportare per la Total persino una perdita di potere contrattuale rispetto ai suoi soci statunitensi, proprio perché l’aderire senza riserve alla NATO comporta una maggiore sottomissione al cosiddetto “alleato” americano.
La cooptazione del gruppo dirigente francese deve perciò aver seguito altre strade, tali da fargli perdere di vista anche il proprio tornaconto.
In questi ultimi mesi è tornato all’attenzione dei media il vecchio tema massonico del “governo mondiale”. Si tratta di un semplice mito, poiché per l’oligarchia affaristico-coloniale che già controlla le Corporation, il Fondo Monetario Internazionale e - di riflesso - le varie banche centrali, un governo mondiale, palese o occulto che fosse, costituirebbe un orpello superfluo.
Ma appunto il mito, in quanto mito, svolge una notevole funzione nella cooptazione dei gruppi dirigenti dei vari Paesi. Le varie filiazioni massoniche, come la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, l’Ordine Martinista Universale, gli Illuminati e la Massoneria stessa, svolgono per l’oligarchia la funzione di apparati di pubbliche relazioni, che servono a creare nei dirigenti dei Paesi colonizzati l’illusione di stare partecipando alle riunioni di un governo mondiale dove si decidono i destini planetari.
L’affiliazione a queste organizzazioni pseudo-segrete (su cui in realtà le notizie vengono centellinate ad arte), rappresenta il traguardo dell’arrivismo personale di tante mezze figure del potere politico ed economico europeo, che si abituano a scodinzolare dietro i potenti che sembrano degnarli della loro attenzione e della loro stima, e perdono ogni rispetto di sé sottoponendosi a ridicoli e puerili rituali di iniziazione.
Illudere, corrompere ed asservire tutte queste mezze figure - salvo poi disfarsene ad uso avvenuto -, costituisce per l’oligarchia coloniale un espediente per far passare scelte suicide per il destino dei vari Paesi, poiché le tante mezze figure, messe insieme, avrebbero rappresentato una resistenza insormontabile se avessero fatto valere i propri interessi. È uno schema di dominio che sembra aver funzionato anche nel caso della burocrazia e del ceto politico francesi.
Molto del seducente potere corruttivo del colonialismo è basato su questi aspetti illusionistici, su aspettative infondate di riuscire ad entrare finalmente nel giro che conta. Mentre il mito del governo mondiale è solo un’esca lanciata ai carrieristi ed ai bazzica-logge dei Paesi colonizzati, il vero mito fondante dell’oligarchia coloniale è quello della sua superiorità razziale, perciò nei giri che davvero contano i parvenu sono esclusi per principio. Ma vallo a spiegare agli arrivisti.
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