Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Dall'anno scorso la banca centrale cinese è diventata il secondo azionista di ENI ed ENEL. La banca centrale in Cina è di proprietà dello Stato, eppure da noi non si è mancato di far passare questa vendita di considerevoli quote azionarie dei "gioielli di famiglia" del Tesoro italiano allo Stato cinese come ... "privatizzazioni". Ma quest'anno, alla fine di marzo è arrivata anche la notizia dell'acquisto di una quota azionaria di rilievo della multinazionale italiana Pirelli da parte di ChemChina, il colosso della chimica cinese. Tra le righe, e con toni sommessi, non si è potuto mancare di farci sapere che ChemChina è una corporation a controllo statale.
Si tratta di quelle notizie che l'informazione ufficiale non vorrebbe mai essere costretta a diffondere, poiché ad un'opinione pubblica ormai addestrata a credere che il miracolo economico cinese sia dovuto al basso costo del lavoro, risulta ora ben duro spiegare che le cose non stanno affatto così. Risulta penoso ammettere che la Cina attuale adotta un sistema economico delle partecipazioni statali molto simile a quello che vigeva in Italia negli anni '60. Insomma, è tutta la propaganda sugli effetti mirabolanti che il "Jobs Act" dovrebbe determinare sulla produttività e sull'occupazione, che rischia di saltare miseramente. Tanto più che potrebbe ulteriormente diffondersi il dubbio sulla reale esistenza del "libero mercato", chiedendosi anche se, partecipazioni statali per partecipazioni statali, non sarebbe stato meglio tenersi quelle italiane invece di ricorrere a quelle cinesi.
Certo, esiste un modo di fare "opposizione" che sembra andare immancabilmente a sostegno della propaganda ufficiale, poiché, invece di smantellare con i dati di fatto le mistificazioni della cosiddetta "dura realtà del mercato globale", le si continuano a contrapporre astratte idealità da umanesimo integrale; perciò alla fiaba del mercato si offre come alternativa la nostra "Costituzione fiaba". Ad una infantilizzazione, si risponde con un'auto-infantilizzazione.
Ma non si devono sopravvalutare il ruolo ed il peso di queste forme addomesticate di "opposizione". Sono i giornali ufficiali quelli chiamati ad ovviare efficacemente proprio ad inconvenienti come quello determinato dalle notizie su ChemChina. Il quotidiano confindustriale "Il Sole-24 ore" del 25 marzo infatti ha fornito prontamente la narrazione mediatica da adottare per fronteggiare l'emergenza.
Ce la si racconta più o meno così. Sì, va bene, l'economia cinese è controllata al 70% dallo Stato, sia a livello di grandi imprese nazionali e multinazionali, sia a livello di piccole compagnie locali. Sì, d'accordo, va avanti così da decenni e tutto ciò è andato a coincidere con i tassi di crescita del 10% annuo. Ma i dirigenti cinesi non sono affatto soddisfatti di questo stato di cose, che comporta numerose inefficienze. I dirigenti cinesi perciò hanno "messo allo studio" un piano per una graduale "discesa" nelle partecipazioni statali. Neppure una deliberazione, ma un semplice "studio". Neanche si parla di un'abolizione del sistema delle partecipazioni statali, ma si ipotizza vagamente attorno ad un suo ridimensionamento. Ma questa non-notizia viene lanciata come uno "scoop" sensazionale, perciò il quotidiano confindustriale può immediatamente applicarsi ad immaginare tutti i problemi ed i nuovi scenari che questo "futuro" calo nelle partecipazioni statali comporterà nell'economia cinese. Il "futuro" è già cominciato; anzi, secondo l'organo confindustriale, del sistema delle partecipazioni statali cinesi si potrebbe già parlare al passato. Magari tra un po' ci si potrebbe anche dimenticare che sia mai esistito.
L'effetto confusionale sull'opinione pubblica così è assicurato. La vaga ipotesi di privatizzazione dell'economia cinese può essere già spacciata come un dato acquisito. La credibilità del "Jobs Act" è salva. E la fiaba del libero mercato? Salva pure quella.
In effetti è da venti anni - cioè dall'adesione cinese all'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) nel 1995 -, che il governo cinese promette un ritiro delle partecipazioni statali, solo che in questi due decenni gli impegni sono stati rigorosamente disattesi. Il WTO è un tipico patto leonino, per il quale i Paesi di serie B sono costretti a rispettare le regole, mentre i più potenti ne sono esonerati. Nemmeno nell'Unione Europea le cose vanno diversamente. Del resto, visto che il governo cinese ha imitato il vecchio sistema delle partecipazioni statali italiano, saprà anche cosa hanno portato in Italia le privatizzazioni, cioè la deindustrializzazione.
L'aneddotica ha individuato nella ormai leggendaria riunione sul Panfilo Britannia l'avvio delle privatizzazioni in Italia. In realtà, il nesso consequenziale tra privatizzazione, deindustrializzazione e finanziarizzazione è storico, e tutt'altro che casuale, dato che è stato esplicitamente teorizzato nel progetto del "Financial and Private Sector Development" della Banca Mondiale.
Le direttive che da Washington la World Bank, sino agli anni '70, riusciva ad imporre a Paesi come Burundi e Honduras, dopo la caduta del Muro di Berlino sono passate senza difficoltà anche in Europa, e sono state formalizzate nel Trattato di Maastricht. Persino la NASPI, la tipologia di indennità di disoccupazione prevista dal "Jobs Act", si riduce ad un pretesto per obbligare i precari a dotarsi di carta di credito. Questa truffa ai danni dei poveri viene chiamata "inclusione finanziaria".
Ha suscitato numerosi sarcasmi la notizia che Matteo Renzi, durante l'ultima riunione della direzione del PD, abbia definito Landini e Salvini come "fenomeni televisivi". Ma qui non si tratta solo della storia del bue che dice cornuto all'asino, in quanto è del tutto confacente all'attuale sistema cleptocratico il fatto che Renzi - o, per meglio dire, la sua squadra di ghost-writer - fagociti e vampirizzi anche le critiche delle opposizioni. Una cleptocrazia tende a derubarti anche del linguaggio.
Qualche giorno fa, in occasione della manifestazione della FIOM e della nuova "Coalizione Sociale" lanciata da Maurizio Landini, lo stesso Landini ha dato voce ad un malcontento comune, affermando che Renzi sarebbe peggiore persino del Buffone di Arcore. Come al solito, la dichiarazione è stata occasione per "dibattiti" e prese di distanze. In realtà questo genere di "graduatorie di demerito" va inquadrato nelle semplificazioni del linguaggio quotidiano, poiché è abbastanza ovvio che anche Renzi rappresenti la continuità con i governi che l'hanno preceduto; così come è ovvio che ciò venga avvertito come un aggravamento della situazione. Comunque una caratteristica accomuna il Buffone ed il Buffoncello: entrambi sono fantocci che non sarebbero mai riusciti ad emergere da una vera lotta politica.
La continuità di Renzi con i governi precedenti consiste anche in un'azione di governo insensibile agli equilibri sociali ed istituzionali, e che appare semmai interessata a procedere a colpi di destabilizzazione, di false aspettative e docce fredde. Emulo del Buffone del 1994, il ministro del Lavoro (?), Poletti, lunedì scorso dichiarava di attendersi un milione di nuovi posti di lavoro dal cosiddetto "Jobs Act". In tal modo si suscitano molti scetticismi da catalogare come "disfattismo", ma anche tante speranze, da deludere meticolosamente. Sino a pochi giorni fa, ci si diceva che è cominciata la ripresa; ma ora i nuovi dati ci dicono che la disoccupazione invece è in aumento (doccia fredda). Poletti rassicura che non c'è contraddizione tra le castronerie sparate quattro giorni fa e i dati odierni. Schizocrazia.
La schizocrazia è infatti un risvolto inevitabile della cleptocrazia. Nel suo ultimo DDL, Renzi ha lanciato un modello caotico di "Buona Scuola", nel quale non si preoccupa nemmeno di abrogare le vecchie norme che confliggono con le nuove; salvo poi smentirsi nello stesso DDL, all'articolo 21, in cui si riserva di modificare tutto il modificabile nei prossimi mesi. Si annuncia l'azzeramento della situazione precedente per quanto riguarda le assunzioni, che dovrebbero essere, d'ora in poi, solo per concorso. In tal modo i tremila euro già sborsati dai precari della Scuola, ogni volta, per ciascun corso, dalla SSIS (Scuola di Specializzazione all'Insegnamento Secondario) di qualche anno fa, all'attuale TFA (Tirocinio Formativo Attivo), vengono fatti cadere in prescrizione, cioè incamerati senza contropartita.
I corsi a pagamento costituiscono un mega-business ai danni dei precari. Presentati ogni volta come un'ultima spiaggia, come il treno da prendere in corsa, si risolvono in rapine a cui non corrisponde non solo alcuna preparazione, ma neppure alcuno sbocco. Oltre la vecchia SSIS e l'attuale TFA, vi è anche il Percorso Abilitante Speciale (PAS, un acronimo dal suono vagamente speranzoso), ovviamente in cambio dei soliti tremila euro che gli Atenei sono sempre pronti a riscuotere, a riprova del fatto che ormai l'Università è occupata da lobby che considerano la Scuola solo una preda da spolpare.
La lobby universitaria cavalca con disinvoltura le critiche contro la presunta "aziendalizzazione", e l'altrettanto presunta "invalsizzazione" della Scuola. La "Scuola azienda" è solo uno slogan, mentre l'Invalsi è solo una delle tante truffe del privato ai danni del contribuente; ma ai due spauracchi la lobby universitaria pone come alternativa la solita "formazione" da parte della stessa Università, facendo aleggiare agli insegnanti la prospettiva che questa “formazione" venga riconosciuta come ore retribuite.
Ma con l'articolo 21 del DDL, Renzi già si è preparata la marcia indietro sulla questione delle assunzioni. Dopo le proteste e la "trattativa", è prevedibile che si giungerà ad un finto "compromesso", in base al quale si autorizzeranno i precari a sperare ancora. Ovviamente in cambio della partecipazione ad un altro corso, e di altri tremila euro. Se alla cleptocrazia la prossima volta gliene basteranno tremila.
L'ancora vaga "Coalizione Sociale" di Landini si andrebbe quindi a scontrare con un tipo di sistema politico i cui contorni non sono ancora ben distinguibili da parte di coloro che si muovono sugli schemi consueti della difesa dei diritti e della Costituzione. Il famoso documento della multinazionale finanziaria JP Morgan - che dichiarava la necessità di lasciarsi alle spalle le attuali "Costituzioni antifasciste" -, è stato oggetto di vari fraintendimenti. Molti lo hanno persino letto come una indiretta celebrazione di quelle Costituzioni, considerandole come un argine al dilagare di logiche puramente aziendali. In realtà, se si legge il documento con più attenzione, ci si accorge che le cose stanno diversamente. Le "Costituzioni antifasciste" vengono infatti individuate da Jp Morgan come un ottimo bersaglio fisso attorno al quale raccogliere i dissensi e le opposizioni.
La guerra mondiale aveva realizzato le sue aggregazioni antifasciste sulla base di una concezione riduttiva del fascismo stesso, interpretato come mera anti-democrazia. Solo uno sguardo storico meno coinvolto negli eventi, ha potuto scorgere nel fascismo, ed ancora più conseguentemente nel nazismo, l'applicazione scientifica nella metropoli capitalistica di quei metodi coloniali già sperimentati nella periferia. Sono state multinazionali come Bayer, IBM, Deutsche Bank, Standard Oil a creare il modello Auschwitz, e proprio le multinazionali oggi ne sono le vere eredi.
La cleptocrazia non è "questione morale", ma un assetto di dominio ed un rapporto sociale. Il sistema coloniale si regge sul raccordo tra la cleptocrazia multinazionale e le cleptocrazie locali, senza un progetto sociale che vada oltre la predazione. Da qui la schizocrazia degli slogan in contraddizione l'uno con l'altro, poiché il linguaggio ufficiale accorpa la funzione della comunicazione con quella di mettere in confusione le prede.
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