Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ciò che il G-20 di Londra ha omesso per pudore, è stato invece solennemente, e sfacciatamente, sancito dal vertice NATO di Strasburgo. Se non fossero stati distratti dalle gaffe (o dalle gag?) di Berlusconi, persino i giornalisti si sarebbero accorti che, finalmente, la linea di politica estera e di politica economica del neopresidente statunitense Obama si è chiarita e ufficializzata: sarà l’oppio afgano a farci uscire dalla crisi economica.
Il vertice del 4 aprile ultimo scorso - sessantesimo anniversario della fondazione della NATO - ha infatti stabilito di rafforzare la presenza in Afghanistan sia in termini di truppe che di mezzi. Inoltre, altri due staterelli fantoccio, Croazia e Albania, sono stati ammessi formalmente nella NATO, mentre Macedonia e Montenegro ne fanno già parte in via ufficiosa, attraverso l’espediente giuridico delle procedure di ammissione. A ciò si aggiunga il che il neonato Kosovo - il primo Stato al mondo creato ex novo dalla NATO - costituisce da anni un territorio statunitense d’oltremare, dato che ospita Camp Bondsteel, la più grande base militare USA del mondo.
Camp Bondsteel non è una “cattedrale nel deserto”, ma è un grande santuario circondato da una miriade di altri luoghi di devozione, dato che le basi militari statunitensi e NATO nell’area balcanica sono ormai decine. I Balcani sono diventati oggi una sicura ed efficiente “Opium way” per la materia prima ed il semilavorato provenienti dall’Afghanistan. L’oppio paga non solo le basi militari, ma anche la rete di oleodotti che attraversano i Balcani e trasporteranno il petrolio e il gas dal Mar Caspio e dal resto dell’Asia. Nel momento in cui il sistema bancario mondiale è in crisi, l’area balcanica vede, grazie all’oppio, anche tutto un proliferare di nuove banche, e il Kosovo ha quasi più banche che abitanti.
Obama - o chi lo manovra - dimostra di sapere quello che fa e di conoscere la Storia.
Senza l’oppio, e senza le due grandi guerre dell’oppio dichiarate dalla Gran Bretagna contro la Cina, non sarebbero esistiti l’Impero Britannico e neppure il capitalismo. Ciò non perché l’oppio sia l’unico affare o il principale affare in termini assoluti, ma perché costituisce la locomotiva trainante di tutto il convoglio affaristico, una fonte inesauribile di denaro fresco, tenuta viva grazie ad un limitatissimo investimento iniziale.
L’oppio non solo ti fornisce un grande affare, ma ti rende competitivo per entrare in qualsiasi altro affare, ti finanzia l’investimento e ti consente di abbassare i prezzi eliminando la concorrenza. L’oppio è quindi una droga per tutti gli affari, compreso quello dell’edilizia.
L’oppio nell’800 finanziava anche la pirateria che era promossa e organizzata da compagnie britanniche e olandesi, che poi promuovevano anche trattati militari e guerre col pretesto di contrastarla. Oggi la pirateria è tornata in auge e, non a caso, la NATO rivendica un ruolo anche in questa presunta “lotta” alla pirateria.
Agli inizi del ‘900, mentre il business dell’oppio furoreggiava e l’indistinguibilità tra capitalismo e criminalità comune risultava particolarmente clamorosa, un grande sociologo, Max Weber, scriveva due importanti saggi storici, poi raccolti sotto il titolo “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. La tesi di fondo di questi saggi è che il protestantesimo, e soprattutto il calvinismo, sono stati la base etica del capitalismo, poiché hanno dato valore al lavoro e alla parsimonia. Olanda e Inghilterra, secondo Weber, sono state le culle del capitalismo, proprio perché influenzate maggiormente dal calvinismo.
La tesi di Weber è diventata senso comune, tanto che, nel linguaggio delle persone di cultura medio-alta, il termine “calvinista” è utilizzato per indicare un lavoratore sobrio e zelante. La tesi di Weber ha qualche fondamento storico, anche se per un senso del tutto diverso da quello proposto dal suo autore.
La Riforma Protestante ha costituito il paravento propagandistico per il più grande saccheggio della Storia. Agli inizi del XVI secolo le curie vescovili ed i conventi erano i più grandi proprietari di terre e edifici, ma nel giro di pochi decenni in Germania, Olanda e Inghilterra gli sterminati patrimoni immobiliari della Chiesa Cattolica erano passati in altre mani.
Può costituire un’attenuante il fatto che la rapina attuata col pretesto della Riforma Protestante avvenisse ai danni di altri ladri, come gli esponenti del clero cattolico; ma comunque non si trattò assolutamente di un rubare ai ricchi per dare ai poveri. Quando i poveri contadini tedeschi cercarono di partecipare in qualche modo ai benefici della spartizione dei beni che erano appartenuti alla Chiesa Cattolica, allora Lutero tuonò contro di loro chiamandoli blasfemi ed incitando i Signori della Germania a sterminarli. Eppure anche “luterano” è un aggettivo usato nel linguaggio colto per indicare serietà e rigore nell’argomentazione polemica.
Il capitalismo è un fenomeno che da sempre risulta del tutto riconducibile alle espressioni della pirateria, del saccheggio e della criminalità comune, però il capitalismo è anche riuscito a creare una falsa coscienza che usa tutte le smentite del mito per riconfermare il mito stesso: se il capitalismo che vediamo è solo criminalità, allora vuol dire che da qualche altra parte deve esserci un capitalismo “vero” che si ispira ai suoi valori autentici e originari, anche se nessuno l’ha mai visto.
Il problema del capitalismo attuale è però che come propagandisti non ha più a disposizione Lutero, Calvino o Max Weber, ma dei pubblicitari di infimo livello come i Neocon americo-sionisti, perciò l’evidenza comincia a strappare un po’ di spazio alla falsa coscienza.
Uno degli aspetti più strani dell’attuale regime berlusconiano consiste nel fatto che alcuni settori di opinione pubblica si ostinano a considerare la posizione di Giulio Tremonti all’interno del governo di cui fa parte, come quella di una sorta di oppositore. In quest’ultimo anno si è consolidato un gioco delle parti mediatico fra Berlusconi e Tremonti, in cui il primo rilascia dichiarazioni di un ottimismo meschino ed irritante, mentre il secondo veste i nobili panni del critico della globalizzazione, arrivando a prendersela con sette segrete come gli “Illuminati”, che avrebbero imposto al mondo la globalizzazione stessa.
Una trasmissione televisiva come Annozero, che molti considerano acriticamente come critica nei confronti del regime, si è trasformata in un vero e proprio “Tremonti show”, in cui il ministro dell’Economia si lancia in ardite analisi degli sviluppi della crisi e degli errori passati che li avrebbero determinati; errori tra cui Tremonti annovera l’eccessiva ingerenza dei privati nella gestione dell’economia. Attraverso questo illusionismo mediatico, Tremonti continua a ricevere stima da molti antiberlusconiani, ed è persino divenuto l’oggetto di speranze di cambiamento.
In realtà prendersela con gli Illuminati è molto più comodo che chiamare la cosa con il suo vero nome, cioè Fondo Monetario Internazionale. È in quella sede che sono passate quasi tutte le scelte che poi sono state riassunte nel contraddittorio slogan della globalizzazione. Ed è sempre da quella sede che partono ancora adesso gli impulsi e le istruzioni a proseguire, nonostante la strombazzata crisi economica planetaria, nella strada delle privatizzazioni.
Mentre sui media si discute di nazionalizzare le banche, di fatto Giulio Tremonti, con il suo Decreto divenuto la Legge 133/2008, è riuscito ad imporre la privatizzazione dei patrimoni immobiliari delle Università e dei beni del Demanio dello Stato, e persino la privatizzazione della gestione delle risorse idriche, che è come dire che ha privatizzato l’acqua. Sui media che fanno ascolto e opinione, finora nessuno ha contestato a Tremonti questa sua contraddizione o, per meglio dire, questo suo atteggiamento truffaldino.
Intanto incombe anche un'altra ondata di privatizzazioni, quella dei servizi della Pubblica Amministrazione, promosse dal ministro Brunetta. Nonostante l'abietta impresentabilità del personaggio, Brunetta gode all’interno dei media di una posizione di privilegio analoga a quella di Tremonti, ed anche lui è visto da alcuni settori di opinione pubblica come qualcosa di “altro” rispetto a Berlusconi, una specie di opposizione ispirata a valori di efficienza e moralizzazione.
Il cosiddetto “federalismo fiscale” si sta risolvendo in una ulteriore privatizzazione, quella della esazione fiscale appaltata ad agenzie private regionali. Manco a dirlo, la privatizzazione della esazione fiscale è promossa da una formazione politica anch’essa presentata dai media come una sorta di opposizione interna al governo Berlusconi, cioè la Lega Nord.
Insomma, Berlusconi ha all’interno del governo da lui diretto una miriade di “oppositori”, che fanno però esattamente ciò che lui vuole, cioè privatizzare.
L’onere finanziario di questi business di privatizzazione ricade interamente sulle casse dello Stato, dato che oggi gli imprenditori privati non dispongono di “soldi veri”, e se li aspettano proprio dal governo: parola della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Tutto questo accade mentre si parla di crisi economica e di misure anti-crisi. Il paradosso non può essere avvertito dalla popolazione semplicemente perché i media non ne parlano; e ciò è logico se si considera che i media appartengono tutti ai gruppi affaristici che sono interessanti al business delle privatizzazioni.
I gruppi affaristici italiani sono comunque in coda in questa ondata di business, promossi soprattutto dalle multinazionali e dal loro braccio politico, il FMI. C’è inoltre da considerare che il business dell’acqua non è comparabile con quello del petrolio. Non si tratta qui di importare una risorsa energetica alle proprie condizioni, ma di privare la popolazione di una risorsa che ha già. Non si tratta dunque di indurre ad un consumo, ma di creare artificialmente una condizione di povertà, per poterne poi ricattare la popolazione.
La privatizzazione dell’acqua implica perciò un vero e proprio racket, che sarebbe inattuabile senza un sovrappiù di violenza e di militarizzazione del territorio; quindi è improbabile che la facciata dello Stato di Diritto possa reggere di fronte alla gestione di business del genere.
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