Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Le recenti "Considerazioni finali" del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, hanno riproposto tutti i luoghi comuni cari all'affarismo. Oggi che la carica di Governatore è di nomina politica, molto dell'alone mistico che emanava dalla sua figura è andato perso, perciò Draghi si è dovuto dare da fare per inseguire il consenso e compiacere gli opinionisti legati ai gruppi affaristici.
Un punto delle "considerazioni" che ha suscitato però unanimità di consensi in ogni settore, è stato l'osservazione secondo cui il livello della nostra istruzione scolastica risulterebbe inferiore nel Meridione d'Italia. Qui Draghi ha utilizzato astutamente il richiamo razzistico per rendere accettabile la prospettiva di consegnare l'istruzione pubblica al business del controllo dei risultati scolastici da parte di agenzie private.
Oggi sono in molti ad essere preoccupati dell'invadenza distruttiva dell'affarismo, ma questa preoccupazione rimane astratta e moralistica dal momento che non fa i conti con gli strumenti di propaganda e di manipolazione psicologica utilizzati dai gruppi affaristici. Il razzismo antimeridionale è una di quelle suggestioni in grado di far scattare automaticamente nell'opinione pubblica un atteggiamento di credulità incondizionata e malevola, che rende plausibile qualsiasi emergenza.
Il razzismo antimeridionale è uno di quei valori fondanti e unanimemente condivisi che sono alla base dell'unità italiana, quindi gli stessi Meridionali non lo mettono in discussione. Anche nei confronti dell'istruzione pubblica in genere esiste un pregiudizio diffuso che non perde occasione di manifestarsi. Due pregiudizi combinati insieme creano una potenza propagandistica inarrestabile, che rompe ogni argine di buonsenso.
Una delle sviste fondamentali del marxismo consiste nel ritenere che la borghesia esprima una cultura industriale, mentre in realtà l'essere borghesi si concretizza soltanto in due atteggiamenti: l'esclusivismo e l'affarismo. L'industrialismo moderno è soprattutto un effetto del militarismo e delle esigenze di potenza dello Stato nazionale. Fu proprio in una logica militaristica che nella seconda metà del XIX secolo, il cancelliere tedesco Bismarck costruì le basi del moderno Stato sociale: la previdenza, l'assistenza sanitaria e l'istruzione pubblica. Anche l'istruzione pubblica italiana alla fine dell'800 fu costruita sul modello bismarckiano, e con l'assistenza e consulenza del governo tedesco.
L'Italia si presentò perciò all'appuntamento della prima guerra mondiale con un numero sufficiente di diplomati sia per sostenere l'apparato industriale che per coprire i ruoli di ufficiale dell'esercito. Ovviamente, per la legge dell'ingratitudine umana, questo potenziale fu rivolto proprio contro la Germania.
Un falso storiografico consolidato è che l'impianto dell'istruzione pubblica italiana sia stato dato durante il fascismo dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile. In realtà la riforma Gentile si limitò a dare dei ritocchi in senso elitario al modello bismarckiano, ed in questo senso andò la "perla" della sua riforma, cioè il Liceo Classico, la scuola borghese per eccellenza.
Come è noto, il Liceo Classico prevedeva l'abbandono dello studio della lingua straniera nel triennio finale, dando per scontato che le famiglie degli studenti potessero permettersi dei corsi di lingua privati. Il Liceo classico non insegnava nulla, neppure la lingua greca antica, che veniva appresa in modo non storico, senza tenere conto che il greco classico si sviluppa per molti secoli, per cui le parole cambiano di significato a seconda delle epoche e degli autori. Lo scopo del Liceo Classico era soltanto quello di creare un ambiente elitario, in cui si affacciava ogni tanto qualche figlio della piccola borghesia che poteva essere poi pubblicamente umiliato con il rituale del rinfaccio del mancato pagamento delle tasse scolastiche.
La riforma Gentile comunque non intaccò del tutto il modello bismarckiano di istruzione pubblica, che era tarato per funzionare in modo autosufficiente e sullo standard della mediocrità, con una centralità dell'istruzione tecnica e professionale, e fu ancora questo modello che consentì all'Italia di affrontare il boom economico. Dagli anni '70 in poi si è invece andato affermando il modello americanistico, con gli organi collegiali, l'ingerenza sistematica delle famiglie, la didattica progettuale, l'autonomia scolastica e il "preside manager". Per essere completato, questo sistema prevede appunto il business della privatizzazione dei controlli esterni.
È ovvio che il sistema americanistico non può funzionare, ed infatti prevede una università che è un doppione del liceo, e, soprattutto, si sostiene con l'afflusso costante di immigrazione intellettuale dai Paesi dove il sistema scolastico ancora funziona. È altrettanto ovvio che un business tirerà l'altro, per cui mentre delle agenzie private si incaricheranno di affossare l'istruzione pubblica, altre si occuperanno di fare affari importando diplomati e laureati dai Paesi dell'Est, come già in parte avviene.
7 giugno 2007
Il giornalista Giampaolo Pansa ha rivelato qualche giorno fa di non essere più di sinistra. Evidentemente Pansa riteneva che nessuno se ne fosse accorto. Ci sono per la verità anche dubbi sull'effettività del suo passato "di sinistra".
Dopo aver contribuito a rendere la sinistra quello che oggi è, Pansa può allontanarsene disgustato per scrutare finalmente nuovi orizzonti, da dove si è affacciato il suo nuovo messia, il presidente di Confindustria Montezemolo. Pansa ha perciò già impugnato la consueta bandiera del vittimismo padronale, e piange sulla sorte di Montezemolo, che sarebbe il bersaglio delle incomprensioni e delle invidie del corrotto ceto politico, che proprio il giornale di Montezemolo, il "Corriere della sera", definisce oggi la "casta".
Il vittimismo, e il contestuale uso dell'accusa di invidia per difendersi dalle critiche, non costituiscono in sé una novità del capitalismo. Già agli inizi dell'800, l'economista Percy Ravenstone rilevava che il capitalismo si avvolgeva in un alone mitico e leggendario, che serviva a coprire un atteggiamento di rifiuto puntiglioso di ogni analisi delle sue effettive radici sociali ed economiche. Il mito secondo cui il capitalista privato sarebbe rispettabile in quanto rischierebbe il proprio denaro, veniva facilmente smentito da Ravenstone, il quale dimostrava che il Capitale trova non soltanto la sua origine, ma anche il suo costante sostegno nella spesa pubblica e nella rendita.
Lo stesso termine "capitalismo" costituisce la sintesi artificiosa e arbitraria di forme economiche diverse, che trovano il loro comune denominatore solo nella condizione di privilegio di determinate oligarchie.
Il capitalismo attuale non è perciò diverso da quello di due secoli fa, e la vera novità storica consiste nel fatto che risultano sempre più deboli i suoi contrappesi sociali ed economici. Oggi il ceto politico europeo è stato travolto dall'offensiva colonialistica statunitense, ponendo in evidenza una verità che potrebbe apparire paradossale, e cioè che la relativa autonomia di cui beneficiavano sino a qualche tempo fa gli Stati nazionali europei costituiva soltanto l'effetto dell'esistenza del contrappeso dell'Unione Sovietica.
Un ceto politico del tutto colonizzato e privato della prospettiva della potenza del proprio Stato nazionale, può solo dedicarsi alla ricerca di privilegi e di occasioni affaristiche. L'affarismo trovava infatti il suo limite nelle esigenze della potenza nazionale, anche se ciò non sempre e solo sino ad un certo punto. Ad esempio, Mussolini aveva tollerato senza protestare che le forniture militari della FIAT fossero costantemente al di sotto dello standard minimo di qualità.
D'altro canto, negli anni '50 fu un burocrate di Stato, Enrico Mattei, a porsi il problema delle basi strategiche dello sviluppo economico italiano, e cioè l'energia e la tecnologia, cose che invece al capitalismo privato non interessavano affatto, allora come oggi. Se infatti si analizzano le "linee programmatiche" proposte da Montezemolo, si vedrà che si riducono alla solita formula della umiliazione e precarizzazione del lavoro.
Il "merito" non è una categoria economica, ma una categoria del moralismo astratto, che serve solo a svolgere la funzione di criminalizzazione ora di questo ora di quel settore del lavoro. La criminalizzazione degli statali apre alla Confindustria il business della privatizzazione dei servizi dell'amministrazione pubblica, ma certo non le consentirà di agire in termini di sistema economico, né le interessa.
Montezemolo non parla di energia e tecnologia, perché lì rischierebbe di entrare nel terreno minato degli interessi coloniali. L'esibizionismo narcisistico di Montezemolo è quindi soltanto l'effetto di una mancanza di contrappesi e di avversari, con la conseguente perdita di ogni timore del ridicolo. Sino a qualche decennio fa, i capitalisti erano costretti almeno a sforzarsi di sembrare delle persone serie, oggi invece possono permettersi di deporre qualsiasi prudenza a riguardo.
31 maggio 2007
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