Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’esibizione spudorata di cordoglio celebrativo che i media e il mondo politico hanno allestito per le dimissioni di Draghi, rischia di attirare nei confronti del povero Super-Mario più astio ed insofferenza del dovuto. In questa circostanza infatti il banchiere sta svolgendo lo stesso ruolo del mitico figlio dei vicini nel film “Ricomincio da Tre”: una sorta di modello irraggiungibile che non ha altra funzione che quella di pretesto per umiliare il proprio figlio con improbabili confronti. Non è solo questione di fare la tara al castello di lodi verso la persona di Draghi, dato che è ovvio che si tratta di effetti di sponda, di rimbalzo: la stampa straniera ha ripreso e rilanciato pedissequamente la narrativa dei principali giornali italiani, ivi comprese le più spudorate fake news; ed ora quegli stessi giornali nostrani si servono dei commenti dall’estero per auto-confermarsi nelle loro tesi.
La Draghilatria è una bolla mediatica a cui non corrisponde però un’effettiva Draghicrazia. Che Draghi rimanga o meno, è infatti del tutto irrilevante per l’azione di governo. Da Presidente del Consiglio Draghi non ha fatto niente di diverso da ciò che avrebbe potuto fare chiunque altro al suo posto. Tra l’altro i poteri del Presidente del Consiglio italiano non corrispondono affatto a quelli del Primo Ministro britannico, che può scegliersi i ministri, sostituirli in corso d’opera ed anche sciogliere il parlamento. Il Premier britannico è vulnerabile alle congiure di palazzo del suo stesso partito, ma comunque, al suo confronto, il Presidente del Consiglio italiano fa la figura di un passacarte. La Costituzione italiana del 1948 era stata confezionata dando per scontata l’esistenza di soggetti politici che poi invece sono scomparsi dalla scena, e cioè i grandi partiti di massa che, inoltre, sino a trenta anni fa, controllavano anche le maggiori banche, che erano tutte pubbliche. Per capire quanto sia distratta e superficiale l’opinione che riconosce al nostro Presidente della Repubblica solo una funzione notarile e di rappresentanza, basterebbe considerare che i governi possono cadere e i parlamenti possono essere sciolti prima della scadenza naturale della legislatura, mentre il Presidente della Repubblica, che può sciogliere anticipatamente le Camere, è invece inamovibile per sette anni. Tanto per non farsi mancare niente, il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio Supremo di Difesa, il che vuol dire intrattenere contatti stabili con magistrati e generali. Fa ridere quando si dice che il Presidente della Repubblica è il “Supremo Garante della Costituzione”. Visti i poteri che la Costituzione gli elargisce, sarebbe strano se non la garantisse, ovviamente nella parte che gli interessa, perché i diritti del cittadino sono come il fumo nei concerti delle rockstar.
Il mito draghiano non serve ad altro che a riconfermare le solite gerarchie antropologiche, a rafforzarci nell’idea che siamo un popolo inferiore, un popolo minorenne che ha bisogno del tutore, ma poi non sa dimostrarsi degno di lui. Pregare Draghi di restare è stato un grande atto di contrizione collettiva, con tanto di anatema per i troppi miscredenti in circolazione e di profezie apocalittiche nel caso di sua anticipata dipartita. Sarebbe ora di sostituire l’inno nazionale, adottando come nuovo inno la famosa canzone del Gianni Morandi anni ’60: “Non son degno di te, non ti merito più”. Per fortuna ci rimane l’altro tutore, quello vero, quello del Quirinale, e per altri sette o quattordici anni non ce lo toglie nessuno.
Tanta umiliazione nei confronti del popolo italiano, che non ha saputo meritarsi Draghi, risulta fin troppo facile, visto che, in fin dei conti apparteniamo tutti ad una specie che abusivamente si autodefinisce “Sapiens”, e quindi è condannata a rimanere drammaticamente al di sotto delle aspettative. Draghi non è riuscito a salvarci perché facciamo troppo schifo, il che dimostra che poi neanche Draghi è in grado di fare niente di eccezionale. Tutta la relazione di potere si risolve in un gioco elementare, in questo giro vizioso del ricondurci continuamente al bisogno di dipendenza, salvo poi accorgerci che dalla dipendenza non ci deriva alcun vantaggio. Il “tutore” serve solo a umiliarci, mai a tutelarci.
Quando Draghi si è fatto latore presso i “partner” europei della richiesta degli industriali italiani di istituire un tetto al prezzo del gas, è stato liquidato anche lui col classico “poi vedremo” che si riserva ai postulanti. Come di consueto, i media nostrani ci hanno raccontato che la colpa è dei soliti cattivissimi “falchi”, i Paesi “frugali” del Nord Europa. Peccato che quei “falchi” si servano contro le richieste italiane proprio degli argomenti che trovano sulla stampa italiana. Pare poi che l’appellativo di “frugali” sia una trovata partorita nel 2020 dal Financial Times (una garanzia!). Inizialmente la definizione riguardava solo Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, cioè la vecchia area del marco. Successivamente il circolo degli ariani puri si è allargato a Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania; perciò a rivendicare la nomea di spendaccione e “cicala” è rimasto solo un Paese di razza mediterranea come il nostro.
L’oligarchia nostrana è riuscita a convincere tutti che il Paese più avaro del mondo, cioè l’Italia, da quasi quaranta anni in avanzo primario di bilancio (cioè di prelievo fiscale maggiore della spesa), avrebbe espanso il debito pubblico per finanziare il bengodi nazionale. In realtà in Italia il debito pubblico è stato un’arma dello scontro di classe, uno strumento per distruggere la forza delle concentrazioni operaie attraverso la deindustrializzazione. La Fiat ha potuto finanziare i licenziamenti degli anni ’80 grazie ai fondi statali, poi reinvestiti dalla famiglia Agnelli in titoli del Tesoro. Nel contempo l’Olanda, paradiso fiscale ed hub mondiale del narcotraffico di droghe tradizionali e di droghe sintetiche, passa da “rigoroso”, tanto la colpa può essere scaricata su mafie d’importazione come quella marocchina. Nel frattempo l’oligarchia olandese ha imparato qualcosa dagli oligarchi nostrani, visto che ha cominciato a trattare i suoi contadini come immondizia, tanto da suscitare rivolte.
Visto che l’Olanda è questo paradiso fiscale (pardon, paradiso della legalità), la Borsa del gas giustamente si trova lì. La cosa strana è che il mercato virtuale del gas TTF (Title Transfer Facility), con sede in Olanda, viene presentato come un “mercato libero”, sennonché, la libera contrattazione ha come base un prezzo indicizzato del gas. Se è indicizzato non è libero, perciò siamo di fronte alla classica presa per i fondelli. D’altra parte cosa ci si poteva aspettare dalla mitica Europa? A confronto dell’Unione Europea, Cosa Nostra sembra un modello di trasparenza.
La presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, fa terrorismo sull’imminente taglio definitivo del gas russo e annuncia drastici razionamenti, esattamente quello che ci vuole per favorire un ulteriore aumento dei prezzi. Meno male che la Von Der Leyen, come tutti i funzionari europei, si giova dell’immunità giudiziaria, altrimenti rischierebbe l’incriminazione per aggiotaggio e manipolazione del mercato. La Von Der Leyen è stata eletta dal parlamento europeo grazie ai voti determinanti dei deputati 5 Stelle, che devono aver considerato il suo curriculum, in particolare la sua esperienza di ministro della Difesa tedesco. La gestione della Von Der Leyen si era infatti distinta per malversazione e per la macroscopica lievitazione dei costi degli appalti. Con questi illustri precedenti criminali, nessuno si è sorpreso quando la stessa Von Der Leyen ha blindato il business dei vaccini segretando i contratti di fornitura.
Il giornalista Federico Rampini rappresenta il modello ideale dell’italiano, infatti si è preso la cittadinanza americana, il che gli conferisce uno status, un rango particolare. Da questa condizione di privilegio morale e geografico può dedicarsi senza rischi allo sport nazionale, cioè istigarci alla guerra civile, in questo caso contro i “putiniani”, che secondo Rampini sarebbero in Italia un partito “immenso”. Le incongruenze del messaggio sono dissimulate con la tipica retorica suggestiva in cui si alternano moralismo e cinismo per confondere le acque. Non a caso Rampini prima predica ossessivamente che l’Occidente dovrebbe liberarsi dei suoi sensi di colpa verso il proprio passato coloniale, poi si indigna a morte se la Russia continua a considerare l’Ucraina come una propria colonia e non come una colonia USA. Il problema è che il colonialismo occidentale non è mai “passato”, quindi è una balla che l’Occidente si senta in colpa, semmai è solo ipocrisia. L’ultimo mantra che Rampini ci impone è che l’accordo con l’altro autocrate, il dittatore turco Erdogan, sarebbe giustificato dalla priorità in campo, che oggi vede Putin come maggiore pericolo; ciò allo stesso modo in cui Roosevelt si alleò con il diavolo Stalin contro Hitler.
In realtà non c’è niente di concreto che indichi che Erdogan sia peggio della media dei leader delle mitiche democrazie occidentali, poiché, in quanto a crimini, nessuno si fa mancare nulla. Il problema semmai sarebbe di capire come mai in dieci anni la Turchia sia balzata dalla mediocrità al ruolo di grande potenza. Tutto è partito dall’aggressione della NATO alla Libia del 2011, avviata da Francia e Regno Unito; un’aggressione a cui la Turchia non partecipò direttamente, ma attraverso il suo alleato e finanziatore, il Qatar. A creare il mostro mediatico Gheddafi furono infatti le fake news di Al Jazeera, di proprietà di Al Thani, all’epoca emiro del Qatar.
Oggi la Libia è divisa in due sfere d’influenza, ad ovest la Tripolitania e Sirte, sotto il controllo della Turchia, e ad est la Cirenaica, sotto il controllo della Russia. Regno Unito e Francia sono completamente fuori gioco; ed il bello è che il presidente francese Sarkozy aveva aggredito la Libia per strapparla all’Italia, in modo da chiudere l’anello della colonizzazione del nostro Paese, occupando anche l’altra sponda del Canale di Sicilia. La Francia fece il tipico sforzo inutile, dato che per colonizzare l’Italia basta chiedere, poiché l’oligarchia italica è sempre in cerca di sponde imperialistiche estere per poter opprimere meglio la propria popolazione. L’Italia è già in gran parte una colonia francese, ma ora, sempre grazie alla Francia, si avvia a diventare anche una colonia turca, visto che i flussi di petrolio dalla Libia dipendono dal benestare di Erdogan, a cui Draghi oggi si inchina, dopo averlo chiamato “dittatore” lo scorso anno.
La destabilizzazione della Siria non è stata operata direttamente dalla NATO, ma USA, Francia e Regno Unito ci hanno messo del loro, insieme con l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. Il risultato di quella destabilizzazione è che oggi anche la Siria è spartita di fatto tra Turchia e Russia. La Turchia e la Russia quindi per ben due volte hanno agito con logica spartitoria, in Libia ed in Siria. Cosa impedirebbe che possa accadere altrettanto con l’Ucraina?
Russia e Turchia sono imperialismi in durissima competizione da secoli; d’altra parte Russi e Turchi si capiscono a vicenda, persino nei loro rispettivi miti fondanti, per quanto campati in aria. Sia agli uni che agli altri devono invece risultare del tutto incomprensibili i leader occidentali, che appaiono sempre come esaltati propugnatori di verità tanto assolute quanto effimere. Per capire come funziona il Sacro Occidente, occorre tener presente la sinergia tra le Borse e i media; e, non a caso, nello stesso periodo in cui furono costituite le prime società per azioni, nacquero anche le prime Gazzette. Bolle finanziarie e bolle mediatiche si alimentano a vicenda, per cui il cosiddetto Occidente non è altro che un gigantesco reato di aggiotaggio: notizie infondate che alimentano business che non avrebbero alcuna ragione di esistere, come le armi o i vaccini. Il moralismo dei media e l’affarismo delle Borse vanno in sinergia creando fantasmi di minacciosi super-nemici; nemici che possono cambiare a seconda delle esigenze, per cui il cattivo del giorno prima diventa il buono del giorno dopo. Il Sacro Occidente non conosce il senso della misura: prima ti spingono al consumismo ed alla ricerca del superfluo, poi d’improvviso ti lesinano persino la doccia, perché il business di moda ora è il razionamento.
Valeva la pena di tradire gli alleati curdi, consegnandoli ad Erdogan? La rimozione del veto turco all’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO non cambia di una virgola il quadro strategico; e non solo perché Svezia e Finlandia sono già partner NATO dal 1994, ma anche perché con l’esercitazione militare congiunta “Trident” del 2018, l’integrazione dei due Paesi baltici nel livello operativo della stessa NATO poteva dirsi compiuta, a detta degli stessi attori. I Curdi quindi sono stati traditi solo per propinarci la fiaba mediatica secondo cui Putin sarebbe stato punito per le sue malefatte con l’uscita di Svezia e Finlandia da un’inesistente neutralità. L’evento narrato è inesistente, ma l’allarmismo mediatico droga ugualmente i movimenti di capitale, che a loro volta determinano effetti reali.
La dilatazione della NATO ha senso in una logica di business, ma non ne ha in una logica strategica, poiché si squilibrano i rapporti tra gli Stati. I Paesi di frontiera della NATO attuale assumono un ruolo ed un protagonismo che li avvantaggia rispetto ai Paesi che detenevano la posizione di frontiera quando la NATO aveva confini più ristretti. Fronti di destabilizzazione si aprono tra la Germania e la nuova “star” della NATO, la Polonia. La Germania ha recentemente rifilato un bidone alla Polonia, che si è sovraesposta per assistere l’Ucraina. La Polonia ha svuotato i propri arsenali per consegnarli a Kiev, e inoltre accoglie milioni di profughi ucraini. Dal canto suo Berlino ha sospeso l’invio dei blindati e dei finanziamenti che aveva promesso a Kiev e Varsavia.
Poi c’è il riarmo tedesco, condotto senza scrupoli. Con un accordo parlamentare ed una leggina ad hoc, la Germania ha aggirato la sua Costituzione per finanziare a debito il proprio riarmo. Ciò dimostra quanto se ne freghino dei dettati costituzionali anche a quelle latitudini. I primi cento miliardi di investimenti tedeschi in armi possono partire, e c’è da supporre che si aprano tempi duri per le velleità neo-imperialistiche della Polonia.
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