Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L'avvento dell'era di Renzi ha stabilito un nuovo conformismo mediatico, che tende a screditare preventivamente ogni dissenso catalogandolo nelle categorie del vecchiume o dell'invidia verso le strabilianti doti del divo di turno. Ciò sta determinando qualche nostalgia per l'epoca del Buffone di Arcore, anche se il rimpianto non riguarda la sua persona, bensì quella possibilità di essere "contro" che il regime del Buffone sembrava almeno assicurare.
A volte però la memoria può concentrarsi su taluni periodi e dettagli, rimuovendone altri. In realtà per tutto il 2008 al Buffone fu garantita una copertura mediatica del tutto paragonabile a quella che oggi sta circondando Renzi, per cui si era venuta a configurare addirittura una nuova ipotesi di reato: l'antiberlusconismo. Verso la metà del 2008 fu lo stesso Buffone ad annunciare solennemente che l'antiberlusconismo era stato stroncato, e il quotidiano considerato antiberlusconiano per eccellenza, "la Repubblica", si incaricò di celebrare l'evento. Fu anche lo stesso quotidiano che per tutto il 2008 cantò le virtù di ministri come Tremonti e Brunetta e le mirabolanti capacità del commissario Bertolaso.
Il corto circuito della memoria è una trappola che ci fa concentrare sulle presunte novità, rischiando di perdere di vista gli aspetti di continuità. I toni da enfant terrible di Renzi in campo internazionale danno la falsa impressione di una sua fronda rispetto all'establishment euro-germanico, ma anche per il Buffone si arrivò ad immaginare un suo ruolo anti-sistema a causa delle sue dichiarazioni a ruota libera, che fecero addirittura ipotizzare un suo asse con Putin. Persino il ministro Tremonti fu accreditato di rappresentare un avversario della cupola finanziaria internazionale, ma sta di fatto che le sue manovre finanziarie più feroci e le sue privatizzazioni anticiparono di molto l'esplosione della crisi dello "spread" nel 2011.
Il gioco delle parti, che prevede un tono spregiudicato a cui corrisponde un conformismo sostanziale, continua ancor oggi. La messinscena attuale vuole che Renzi impugni la bandiera della "crescita" contro la teutonica camicia di forza del "rigore", ma lo sketch ripropone sempre le stesse gag finali. Nichi Vendola ha osservato che, nonostante la modestia delle richieste di Renzi, la risposta della Merkel e di Schauble è stata ugualmente un no. Renzi ha infatti potuto riportare a casa solo la formula della "flessibilità", cioè niente. Ma viene da domandarsi se Renzi sia andato effettivamente a chiedere qualcosa, o se invece la proverbiale protervia tedesca non gli sia servita ancora una volta come alibi. Renzi dovrebbe infatti rivolgere le proprie richieste anzitutto al suo ministro dell'Economia, Padoan.
In una "polemica" risposta ai banchieri dell'ABI, qualche giorno fa Padoan ammoniva che non ci sono "scorciatoie" per la crescita. Quindi tutto viene posto in una astratta prospettiva, e dire domani, in politica equivale a dire mai. Le misure che Padoan prevede ed auspica per favorire la famosa crescita si identificano ancora una volta con il "rigore", in quanto si tratta sempre delle solite "riforme strutturali" (privatizzazione, finanziarizzazione) ad essere considerate la strada maestra da cui non si può derogare. Il ministro però conclude che sarebbe tanto bello un "domani" abbassare le tasse. Se questa è la posizione di Padoan, che senso ha prendersela con la Merkel?
Da bravo esponente del Fondo Monetario Internazionale, Padoan ripete le stesse formule e si avvita nelle stesse contraddizioni che ci ammanniva Tremonti nelle sue performance televisive. La crescita è l'unico modo per abbattere il debito, perciò le banche devono finanziarie le imprese: così ci ripete il ministro. Ma perché le banche dovrebbero rischiare con prestiti alle imprese, se hanno a disposizione la comoda speculazione sul debito pubblico?
Lo sanno anche gli studenti del primo anno di Economia che il debito pubblico può calare solo aumentando il deficit di bilancio e forse lo sa persino Padoan, ma oggi il deficit è persino incostituzionale, e poi, come dice orgogliosamente Renzi, "noi non facciamo come la Germania, noi rispettiamo gli impegni europei". Quindi la sottomissione ai diktat "europei" (cioè del FMI) continua. Sicuramente Padoan non è una cima, ma la sensazione è che egli ci prenda in giro e non voglia minimamente ridurre il debito pubblico, altrimenti finirebbe il business per quella finanza internazionale di cui lo stesso Padoan è un lobbista.
Le elucubrazioni di Padoan si fondano sulla perenne finzione della dottrina sedicente liberista, in base alla quale lo Stato non dovrebbe essere un soggetto economico diretto. In realtà ogni Stato costituisce comunque il maggior committente, acquirente e cliente delle imprese, ed anche il maggior datore di lavoro. Sennonché oggi lo Stato è soprattutto il maggior cliente moroso, il maggior evasore contributivo, il maggior datore di lavoro precario, ed anche il maggior lobbista delle privatizzazioni. Prima di pensare alla "crescita", basterebbe sistemare queste "piccole" trasgressioni che però, storicamente, non entrano mai nel dibattito economico.
Occorre riconoscere che all'epoca del Buffone qualche piccola variazione sul canovaccio si riscontrava, poiché il Presidente del Consiglio ed il suo ministro dell'Economia, Tremonti, spesso giocavano al poliziotto buono e poliziotto cattivo. Cosi avvenne per la manovra finanziaria del maggio 2010, una delle più dure della recente storia italiana.
Renzi e Padoan, per il momento, invece non fingono neppure di fare baruffa. Forse riservano queste sceneggiate alla fase agonica del loro governo. I governi passano, tramonterà anche la fulgida stella di Renzi, ma il FMI rimane. E il bello è che la grande maggioranza dei cittadini non sa neppure della sua esistenza.
Lunedì scorso il presidente russo, Putin, e la presidentessa brasiliana, Roussef, si sono incontrati per prospettare la fondazione di un'istituzione alternativa all'attuale FMI a guida statunitense, di cui peraltro Russia e Brasile fanno ancora parte. Se le intenzioni di Putin e della Roussef fossero autentiche, allora qualcosa potrebbe cambiare, e non perché possano mai esistere banche "buone", ma perché comincerebbe a stabilirsi un contrappeso agli attuali strapoteri internazionali.
Non si tratterebbe di porsi nei confronti del FMI in termini di "concorrenza" (questa cosa mitologica), bensì di misurarsi a tutto campo con la potenza ramificata e tentacolare del lobbying del FMI. Ma quella di Putin e Roussef potrebbe anche essere mera tattica per rinegoziare la posizione dei Paesi cosiddetti BRICS nel FMI attuale. Ed allora si finirà soltanto per offrire nuove opportunità al lobbying del FMI di infiltrarsi nei BRICS.
Non pochi commentatori hanno notato che le proposte del governo Renzi per la Scuola appaiono come una sarcastica risposta al voto quasi compatto degli insegnanti a favore del PD nelle ultime elezioni. Tra le varie misure che il governo avanza c'è anche quella di raddoppiare l'orario di lezione degli insegnanti, portandolo a trentasei ore, ovviamente a paga invariata.
Sparare questa notizia alla vigilia delle ferie degli insegnanti è sicuramente un modo per intensificare l'ormai storico mobbing contro la categoria; un mobbing che ha, altrettanto sicuramente, un immediato scopo pratico: spingere il maggior numero possibile di insegnanti ad anticipare la pensione accettando condizioni sempre più sfavorevoli pur di fuggire dal lager.
C'è anche da osservare che nei confronti di nessun'altra categoria di lavoratori si oserebbe proporre un raddoppio dell'orario senza aumenti di stipendio, ma l'insegnamento non è percepito dall'opinione pubblica come un lavoro, bensì come una mera condizione di privilegio. L'insegnante rappresenta infatti una figura oppressiva, ma socialmente debole, contro la quale è possibile indirizzare la propria ostilità senza correre rischi. Un'opinione pubblica sempre pronta a trovare giustificazioni alle trasgressioni ed alle omissioni dei poliziotti, non è invece disposta a perdonare nulla agli insegnanti, nei confronti dei quali vale la perenne regola del sospetto.
Un autore come Luigi Pirandello ebbe talmente chiaro questo rapporto intrinsecamente conflittuale dell'insegnante con la pubblica opinione, da adottare due personaggi di insegnanti come eroi della lotta contro l'opinione pubblica. Il professor Gori de "La Marsina Stretta" ed il professor Toti di "Pensaci, Giacomino!" sono due cavalieri senza macchia e senza paura a cui tocca di strappare la fanciulla inerme dalle fauci del drago dell'opinione pubblica. Il professor Toti è talmente abituato ad essere lo zimbello dei propri studenti, da non avere difficoltà ad assumere socialmente il ruolo del marito cornuto pur di proteggere una ragazza che è stata messa incinta da un giovane.
Ma la figura di insegnante delineata da Pirandello rappresenta un'idealizzazione. Nella realtà gli insegnanti fanno parte di quell'opinione pubblica da cui sono bersagliati, quindi ne condividono i pregiudizi verso la propria categoria. Un insegnante può essere disposto ad assolvere se stesso, ma non i propri colleghi. Provocazioni come quella del governo Renzi colpiscono perciò una categoria troppo pronta a mettersi in discussione per accettare l'idea che la funzione docente possa essere bersagliata non per le sue carenze, ma in quanto tale. L'umiliazione della funzione docente si alimenta infatti della sua mitizzazione. La visione di un insegnante demiurgo e demagogo - rafforzata anche da film demenziali come "L'attimo Fuggente" -, di un insegnante che non insegna, bensì propone ed impone se stesso, viene usata per gettare bastoni tra le ruote della didattica anche nei suoi aspetti minimi.
L'istruzione pubblica, gratuita e di massa costituisce una storica bestia nera per tutti i reazionari, che vi hanno giustamente individuato un pericoloso fattore di uguaglianza. Era quindi scontato che i reazionari usassero i pregiudizi dell'opinione pubblica contro la categoria degli insegnanti per alimentare demagogicamente il malumore contro la fatica che l'istruzione di massa comporta per milioni di studenti; e spesso la reazione si è servita anche di argomenti falsamente progressivi e libertari pur di sabotare l'impianto pubblico e favorire l'istruzione privata. Ma finché sopravviveva uno scampolo di Stato nazionale, l'istruzione pubblica svolgeva pur sempre una funzione essenziale. Con il Trattato di Maastricht del 1992, lo Stato nazionale è stato definitivamente liquidato, e nel 1993 il primo governo Amato avviò l'attacco all'istruzione pubblica privatizzando il rapporto contrattuale degli insegnanti, da allora non più inamovibili dal ruolo (come i magistrati e i poliziotti), ma solo "assunti a tempo indeterminato".
Negli ultimi anni anche i TAR hanno contribuito a questo attacco alla categoria dei docenti, poiché non si sono più limitati ad accogliere i ricorsi dei genitori contro le bocciature in base ad irregolarità procedurali, ma hanno avviato un'aperta ingerenza nella valutazione didattica. Pur di dar torto agli insegnanti, nel 2005 il TAR di Milano ha addirittura accolto il ricorso dei genitori contro una promozione!
Oggi Renzi può presentarsi alla pubblica opinione come il liberatore del popolo dalla tirannia della casta degli insegnanti, magari facendo la parte dello statista che non guarda agli interessi elettorali, ma all'interesse generale. In quanto parte dell'opinione pubblica, una buona parte degli insegnanti forse continuerà a votarlo. Ma anche se così non fosse, è tutto da vedere se davvero le eccessive fortune elettorali di Renzi siano interamente dovute alla ottusità degli elettori, oppure ad "aiutini" dei sistemi informatici del Viminale. Dopo Maastricht, tutto è diventato possibile, ovviamente in senso negativo.
Al di là degli aspetti terroristici, ma anche fumosi e fumogeni, delle proposte della coppia Renzi-Giannini, risulta evidente che continua una tendenza già delineata dai governi precedenti, e cioè spostare sempre più l'istruzione di livello liceale verso l'Università. La "liceizzazione" dell'Università sarebbe compiuta se passasse definitivamente il modello anglosassone dell'istruzione superiore ridotta a quattro anni. In tal modo la preparazione all'Università sarebbe demandata alla stessa Università, quindi si avrebbe un'istruzione a pagamento in ogni sua fase. Questo è il modello imposto da organizzazioni internazionali come l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo), che non sono altro che emanazioni della super (super)-lobby finanziaria organizzata nel Fondo Monetario Internazionale.
Secondo le proposte di marca FMI, riprese dal governo Renzi, anche la formazione e l'abilitazione dei docenti dovrebbe ritornare di competenza dell'Università, cosa che configura non solo un ulteriore sfruttamento finanziario dei precari, costretti a pagare la propria abilitazione, ma anche un evidente conflitto di interessi, almeno per quanto riguarda l'istruzione superiore di secondo grado. La "liceizzazione" dell'Università comporta infatti una diretta concorrenza tra gli Atenei ed i Licei. Se una volta l'Università aveva tutto il vantaggio a ricevere studenti già forniti dell'istruzione di base, oggi avviene il contrario, poiché gli Atenei hanno il preciso interesse ad allargare la propria funzione per fornire agli studenti anche la preparazione per accedere a studi più avanzati. La formazione dei docenti da parte dell'Università implica lo sviluppo di figure ambigue, che attraverso i "comandi" (cioè la collocazione fuori ruolo), esercitano parte del loro orario nella Scuola e parte nell'Università, per contribuire alla "formazione" (cioè allo sfruttamento finanziario) degli aspiranti insegnanti. Questi docenti a doppia funzione all'interno della Scuola svolgono oggettivamente (o anche soggettivamente) un vero e proprio ruolo di lobbisti a favore della liceizzazione dell'Università, e tutta la loro attività "formativa" consiste in pedagogie fumose che si risolvono in un'ulteriore delegittimazione della funzione docente.
L'istruzione pubblica deve così essere messa in condizione di non funzionare, e non semplicemente in vista di una privatizzazione. La privatizzazione dell'istruzione comporta infatti limiti oggettivi, oltre i quali non si riesce ad andare. All'impossibilità di privatizzare oltre un certo segno, si è ovviato con la finanziarizzazione dell'istruzione, cioè con il credito agli studenti. Negli USA chi riesca a laurearsi si porta dietro per anni debiti che possono superare i centomila dollari. La vita degli studenti e degli ex studenti americani è spesso angosciata dalle persecuzioni delle agenzie di recupero crediti, le quali rappresentano il business nel business del finanziamento all'istruzione. Il business del credito all'istruzione si sta ovviamente diffondendo anche in Italia.
Uno dei maggiori equivoci sul cosiddetto capitalismo riguarda le presunte preoccupazioni "produttivistiche" del modello d'istruzione. In realtà il "capitalismo" non è un modello di produzione, ma di sfruttamento; perciò non esiste neppure un modello d'istruzione, bensì soltanto un modello di sfruttamento finanziario degli studenti, e persino dei precari, costretti ora ad indebitarsi per accedere alla speranza di un lavoro.
Anche i governi precedenti avevano posto i loro bravi mattoni all'edificio dello sfruttamento finanziario dello studente, istituendo la "Carta dello Studente", spacciata dapprima per carta per erogare servizi culturali, e poi rivelatasi carta di credito tout court, per il momento prepagata, previo versamento da parte dei genitori. Ma l'importante era cominciare a inoculare negli adolescenti il virus della carta di credito. L'ex istruzione pubblica può così continuare a svolgere una funzione utile come luogo di merchandising di prodotti finanziari.
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