Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In queste settimane continuano gli appelli da parte di esponenti dello Stato di Israele e di “neocon” americani per arrivare ad un bombardamento atomico dell’Iran - indicato, senza prove, come un’insopportabile minaccia alla sicurezza di Israele -, un bombardamento che alcuni osservatori prevedono avvenga poco prima della scadenza del mandato del presidente Bush. Data l’improbabilità del ricorso all’arma atomica, si è affacciata anche l’ipotesi che questa propaganda catastrofica tenda a far apparire un eventuale bombardamento convenzionale sull’Iran come un male minore, da accogliere quasi con un sospiro di sollievo, anzi con gli ennesimi commenti sulla bontà degli Americani.
Le continue minacce di attacco all’Iran hanno sortito l’effetto di far aumentare a dismisura il prezzo del petrolio, il che è probabilmente proprio ciò che si proponevano gli organizzatori di questa campagna propagandistica che ha invaso i media; infatti, oltre ad aumentare i profitti delle Corporation petrolifere (che sono per la maggioranza anglo-americane), questo aumento dei prezzi ha reso di nuovo convenienti i giacimenti petroliferi anglo-americani ad alto costo estrattivo, come quelli dell’Alaska e del Mare del Nord.
Analizzando il quadro strategico, molte di queste minacce di bombardamento, se attuate, andrebbero a destabilizzare gran parte dell’assetto su cui si fonda oggi l’interventismo militare statunitense. Al di là della propaganda e delle dichiarazioni di inimicizia ufficiali, è un fatto che la collaborazione iraniana è risultata utile agli Stati Uniti per le guerre in Bosnia ed in Afghanistan, e addirittura determinante per l’attuale occupazione dell’Iraq. Per questo motivo alcuni alti gradi militari statunitensi sono arrivati a pronunciarsi pubblicamente contro l’ipotesi di attacco, sottolineando inoltre che l’effetto dei bombardamenti a tappeto sul piano dei reali risultati militari è sempre molto dubbio, o addirittura controproducente, come sta dimostrando per l’ennesima volta l’esperienza della NATO in Afghanistan.
Se è vero che il quadro strategico renderebbe improbabile che dalla propaganda si passi ai fatti, va anche considerato che il tipo di potere che vige negli Stati Uniti non può essere analizzato in base a considerazioni di tipo strettamente strategico. Il governo USA funziona infatti come agenzia delle Corporation ed assume le sue decisioni in base a questo o quell’interesse affaristico immediato. Tutto ciò viene poi accompagnato da slogan o da analisi giustificative, che quasi mai vanno prese sul serio. Organi governativi statunitensi come lo Stratcom (Comando Strategico degli Stati Uniti) hanno presentato l’irrazionalità del comportamento degli USA, il suo carattere eccessivamente aggressivo e vendicativo, come un’opportuna misura tendente a spaventare i sudditi, che potrebbero cadere nella tentazione di sottrarsi al dominio, se gli stessi USA assumessero un atteggiamento troppo calmo e razionale.
Anche questa contorta spiegazione appare però come una giustificazione a posteriori, cioè il tentativo di razionalizzare in base ad un quadro strategico ciò che invece potrebbe essere dettato da considerazioni affaristiche contingenti. Fare il pazzo o lo scemo, e nel contempo dare del pazzo o dello scemo agli altri, costituisce una collaudata tecnica propagandistica statunitense, e molti “filoamericani” si sono specializzati nell’imitazione dei loro maestri e, forse, a furia di fare i pazzi e gli scemi lo stanno anche diventando; ma qui non si tratta semplicemente di scrivere un articolo razzista su “Libero” o sul “Corriere della Sera”, e neppure di disturbare con commenti demenziali la comunicazione antimilitaristica sui forum o sui blog.
Un attacco militare comporta infatti il passare per una complicata catena di comando, e i generali e i colonnelli non sono come i loro soldati, non sono affatto abituati ad obbedire, ma sanno opporre mille difficoltà di ordine tecnico all’esecuzione di ogni ordine che ritengano sgradito o rischioso. I generali e i colonnelli vanno “convinti” ad obbedire. Il denaro risulta sempre convincente, e non solo perché è in grado di comprare; il denaro crea aspettative e speranze, il denaro è carismatico e riesce persino a far lavorare gratis molte persone, illudendole di entrare un giorno a far parte a tutti gli effetti dell’affare.
Il punto è che il bombardamento non è soltanto una decisione strategica, ma è un business. Per valutare l’entità del bomb-business per il complesso militare-affaristico statunitense (il più macroscopico fenomeno di consumismo della nostra epoca), occorre considerare che, secondo dati ufficiali del Pentagono, nel solo periodo dal gennaio 1965 al marzo 1971 furono scaricati sul Vietnam, sia del Nord che del Sud, 5.795.160 tonnellate di bombe - il computo si riferisce esclusivamente alle bombe, senza contare né proiettili di artiglieria, né mine -, quindi tre volte quelle scaricate nel corso della seconda guerra mondiale su entrambi i teatri di guerra, Europa e Pacifico. Nei due milioni di tonnellate di bombe americane della seconda guerra mondiale, va compreso anche il bombardamento convenzionale della città giapponese di Osaka, avvenuto a guerra finita e accompagnato da volantini che annunciavano alla popolazione… che la guerra era finita!
Costretti a sospendere i bombardamenti sul Vietnam del Nord a causa di un negoziato che avevano dovuto aprire per le pressioni internazionali, gli Stati Uniti avviarono subito il bombardamento della Cambogia. Sul piccolo territorio del Laos fu scaricata inoltre una quantità di bombe stimata sui due milioni di tonnellate.
Da allora tutti i bombardamenti statunitensi si devono valutare in termini di milioni di tonnellate, compreso quello sulla Serbia nel 1999; per coprire la superficie necessaria a scaricare tutte le bombe, fu coinvolta nel bombardamento NATO anche la Vojvodina, regione autonoma, multi-etnica, pacifica ed ostile al presidente serbo Milosevic, almeno sino al bombardamento.
Le minacce all’Iran sono state originate da un movente affaristico, legato agli interessi delle Corporation petrolifere, e, allo stesso modo, un altro movente affaristico, legato al bomb-business, potrebbe determinare la concretizzazione di queste minacce.
7 agosto 2008
LE SCORIE NUCLEARI
Le scorie in Italia sono presenti presso: le ex centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina, Garigliano (Caserta), l'impianto Eurex di Saluggia (Vercelli), l'impianto Fn di Bosco Marengo (Alessandria) e gli impianti della Casaccia (Roma) e di Rotondella (Matera).
In Italia non c'è un sito di stoccaggio definitivo per le scorie prodotte dai quattro impianti (Trino, Caorso, Latina e Garigliano) dismessi una ventina di anni fa. La Sogin (società incaricata dallo stato per la chiusura del ciclo nucleare) ha stretto un accordo con la francese Areva per il trattamento di 235 tonnellate di combustile irraggiato ancora presente in Italia. Ma una volta trattati, questi rifiuti torneranno, entro il 2025, nel nostro paese in undici contenitori speciali. Dove li metteranno? La Sogin infatti parla al momento solo di depositi temporanei.
(da Il Venerdì di Repubblica, 13 giugno 2008)
Nella scorsa settimana si è potuto assistere allo spettacolo di un governo composto da criminali comuni che organizzava una campagna mediatica di criminalizzazione dei lavoratori del Pubblico Impiego, in modo da creare il clima di confusione adatto a favorire uno dei più giganteschi saccheggi di denaro pubblico della Storia, spacciato nella prossima Legge Finanziaria sotto la denominazione di “federalismo fiscale”.
Nello stesso periodo, un cittadino della ex Jugoslavia veniva arrestato da uno Stato che si autodefinisce sovrano, per essere consegnato ad una sorta di banda di sequestratori, che, a sua volta, si autodefinisce pomposamente “Tribunale Internazionale dell’Aia”. Questa entità paradossale costituisce un tribunale coloniale, il quale è adibito a processare i nemici degli Stati Uniti; questo tribunale però non ha nessun potere sugli stessi Stati Uniti, dato che questi non lo riconoscono.
Nel 2001 il tribunale coloniale ebbe la faccia tosta di pretendere la consegna dalla Serbia del suo ex presidente Milosevic, con la motivazione che in Serbia non vi sarebbero state le condizioni di sicurezza e di imparzialità per garantire un processo equo. Una volta però che ebbe ottenuto Milosevic in consegna, il tribunale, sebbene non riuscisse a dimostrarne la colpevolezza, ha continuato a tenerlo sotto sequestro, finché una provvidenziale morte “naturale” dell’imputato non ha risolto definitivamente il problema.
Nonostante questo precedente, pare che proprio nulla possa impedire la consegna di Karadzic al Tribunale dell’Aia, dato che, con quelli che la propaganda ufficiale definisce criminali, non è necessario fornire garanzie procedurali o prove, basta la parola; il che è la stessa posizione del governo Berlusconi nella guerra psicologica che ha sferrato contro i lavoratori pubblici: dimostrino loro di non essere dei fannulloni, se ci riescono.
In questo contesto di guerra di classe e di guerra coloniale, si riuniva a Chianciano il Congresso di Rifondazione Comunista, il quale si è spaccato su una questione davvero urgente: quale sia il modo migliore per farsi perdonare di essere comunisti. A Chianciano una nuova ideologia, di cui da tempo si intravedevano le linee teoriche e programmatiche, ha quindi trovato posto nell’atlante ideologico: il Perdonacomunismo.
Il grande problema di questa nuova ideologia è di tipo identitario: perché siamo comunisti? O meglio: perché ci ostiniamo ad essere comunisti?
Alle domande senza senso non si può trovare risposta, e perciò c’è sicuramente materia per tanti altri congressi sulla questione.
Anzi, l’ideologia può anche generare percorsi collaterali, una serie infinita di nuovi perché. Ad esempio: perché siamo pacifisti?
Perché ci opponiamo al fatto che milioni di tonnellate di bombe vengano lanciati su popolazioni civili inermi?
Perché ci opponiamo al fatto che il contribuente paghi questi milioni di tonnellate di bombe con tasse da versare poi al complesso affaristico-militare?
Perché ci opponiamo a basi militari che sequestrano e intossicano il territorio, e diventano centri di riferimento dell’affarismo criminale?
E ancora: perché ci rifiutiamo di pagare tasse per finanziare delle costose privatizzazioni, da cui potranno derivare solo altre tasse?
Mah! Chissà?
È chiaro che una sinistra moderna ed europea non può lasciare in sospeso simili interrogativi. Il perdonacomunista, in particolare, ha da farsi perdonare due secoli di odio di classe, due secoli di apologia della violenza, due secoli in cui ha voluto vedere dall’altra parte non dei leali avversari o concorrenti, ma dei nemici.
Non basta essere contro la violenza per motivi pratici, dato che questa farebbe proprio il gioco di coloro che vogliono criminalizzare la resistenza dei lavoratori in modo da coprire i propri crimini. Non basta essere contro la violenza dato che costituisce l’ambito in cui la provocazione e l’infiltrazione poliziesca possono esercitarsi meglio.
No, è necessario che il rifiuto della violenza sia morale, assoluto, ma al tempo stesso astratto e generico, al punto che una scazzottata e un bombardamento con milioni di morti rientrino nello stesso calderone, ed una valga l’altro.
In fondo Nichi Vendola e Bertinotti hanno ragione: in questo mondo - a parte quelli che non stanno bene agli USA - sono tutti buoni, e se sbagliano è per eccesso di buone intenzioni; i comunisti invece sono stati cattivi, e debbono farsi perdonare.
31 luglio 2008
|
|
|