Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La firma dell’accordo tra Russia e Turchia per il passaggio del gasdotto “South Stream”, è stata l’occasione per una delle consuete fanfaronate di Berlusconi, che se ne è attribuito il merito. L’aspetto grave - anche se non serio - della vicenda, è che i media hanno approfittato della circostanza per alimentare il mito di un Berlusconi in conflitto con gli Usa e con l’Europa in nome degli interessi energetici italiani. La fiaba mediatica ci ha narrato che, mentre l’Europa aderiva al progetto di gasdotto Nabucco, voluto dagli Stati Uniti, Berlusconi avrebbe invece privilegiato l’accordo con il suo diletto amico Putin.
Le cose, in realtà, non stanno affatto così, poiché, tra le pagine degli stessi giornali ufficiali, è possibile reperire la notizia che esiste anche un gasdotto “North Stream”, risultato di un accordo tra Russia e Germania; e si sa che l’Europa, per molti aspetti, non è altro che uno pseudonimo della Germania. Accordi analoghi esistono, peraltro, anche tra Russia e Francia.
La firma dell’accordo tra Russia e Turchia costituisce inoltre solo la ufficializzazione di un dato già scontato, poiché gli ultimi aspetti contrattuali della costruzione del gasdotto, che sarà realizzato dall’ENI per conto del monopolio russo Gazprom, erano stati definiti alcune settimane fa. I media hanno anche volutamente dimenticato quanto da loro stessi riportato qualche anno fa, e cioè che le firme decisive per tutto l’affare erano già state apposte nel 2006 e nel 2007 dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi.
Gli affari non sono mai in alternativa tra loro, perché gli affari sono affari e non rispondono ad una funzione di utilità economica generale; e certo gli Usa non hanno mai pensato di impedire gli accordi tra ENI e Gazprom, semmai meditano di mettere poi le mani sull’Eni per ereditarne gli affari. Infatti non mancano i segnali che sia in atto un tentativo, attraverso inchieste giudiziarie condotte da “toghe a stelle e strisce”, di porre le condizioni per una vera privatizzazione della ENI, che è ora una SPA solo di nome, dato che la maggioranza azionaria è nelle mani dello Stato.
Siamo perciò di fronte ad un caso tipico di illusionismo mediatico, ottenuto attraverso l’omissione o la marginalizzazione di dati decisivi, e l’enfatizzazione di aspetti esteriori e folcloristici. Il tutto vuole contribuire a rafforzare il mito di un Berlusconi in conflitto col mondo, forte soltanto dei consensi che, secondo i soliti sondaggi, gli pioverebbero dal “Paese”.
È chiaro che questa mitologia berlusconiana non è in sé in grado di evitare un tonfo all’attuale Presidente del Consiglio, ma può ottenere lo scopo di trasformare una sconfitta personale di Berlusconi in una disfatta per tutta l’Italia, “responsabile” di avergli dato il suo consenso.
Una volta che occorrerà rimuovere le rovine materiali e morali del berlusconismo, la colpa di queste rovine verrà perciò attribuita a tutti gli Italiani. Almeno questa sarà la linea della stampa estera, a cui si allineerà disciplinatamente quella nostrana.
Un’operazione propagandistica analoga fu condotta anche durante la seconda guerra mondiale, quando, dopo la resa, le responsabilità del fascismo vennero fatte ricadere su tutta l’Italia.
Mentre l’Italia era ancora impegnata nel conflitto contro Gran Bretagna e Stati Uniti, su Radio Londra il colonnello Stevens diceva agli Italiani che gli “Alleati” (gli “Alleati” per antonomasia, gli Anglo-americani) non ce l‘avevano con l’Italia, ma solo con il fascismo, perciò, una volta rimosso il regime, amici come prima. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, le belle promesse furono però del tutto dimenticate dagli “Alleati”: ora gli Italiani dovevano “espiare” per aver appoggiato Mussolini.
È chiaro che un confronto fra Berlusconi e Mussolini risulterebbe improponibile e fuorviante. Mentre Berlusconi è sempre stato considerato dai media esteri per quello che è - una nullità -, Mussolini fu invece oggetto di un vero e proprio “cult” internazionale. Oggi siamo abituati a visualizzare il Mussolini ridicolo e pacchiano dei cinegiornali Luce, ma negli anni ’20 il look e le pubbliche relazioni del Duce erano curati da Margherita Sarfatti, una raffinata intellettuale ebrea, che aveva un grande prestigio anche come critico d’arte. La Sarfatti era un genio delle pubbliche relazioni, e nel 1925 pubblicò in Gran Bretagna un libro biografico/apologetico su Mussolini, un libro che poi divenne un best-seller internazionale; in Italia venne pubblicato col titolo “Dux”. Il look del Mussolini versione-Sarfatti era tenebroso e aggressivo, e risultò decisivo per fare del Duce un mito mondiale.
Il confronto storico si deve quindi restringere all’aspetto delle tecniche di guerra psicologica che vengono messe in campo, adesso come allora.
Alla fine del 1943 si insediò a Napoli il Psychological Warfare Branch, cioè la sezione per la guerra psicologica degli Anglo-Americani; un ente che sicuramente avrà cambiato nome, ma che, altrettanto sicuramente, da Napoli non si è più smosso.
La psychological war, o psycho-war (il termine tecnico ufficiale è psywar, volutamente meno chiaro), era una categoria nuova, prodotto della propaganda scientifica, e gli “Alleati” impostarono la strategia bellica su questi nuovi criteri. Bisogna non sottovalutare l’effetto confusionale che determina un nemico che da un lato proclama la libertà e i diritti dell’Uomo, e poi calpesta ogni regola di Diritto internazionale e persino ogni regola di reciprocità. Gli Anglo-Americani imponevano infatti ai nemici la “resa senza condizioni”, un concetto inusitato per i tempi, che non riconosce al nemico alcuna dignità.
Gli stessi metodi di psywar li si riscontra nell’attuale occupazione NATO dell’Afghanistan, dove il capo delle forze britanniche, generale Richards, proclama che gli occupanti sono pronti a rimanere per altri trenta o quaranta anni; e dove, dal canto suo, il comando statunitense afferma che dà mandato ai Marines di eliminare tout-court i “signori della droga”, quando ormai è palese che il narco-traffico è nelle mani della stessa NATO. Si tratta di dichiarazioni che contrastano con lo stesso mandato ONU delle forze occupanti e, in quanto tali, dovrebbero comportare una decadenza del mandato. È una psywar rivolta non solo contro gli Afgani, ma anche contro gli “Occidentali”, a cui si ricorda, in modo subliminale, che sono sottoposti ad un potere assoluto, bizzoso e spietato.
Vi sono indizi che fanno capire che Mussolini, sebbene fosse stato utilizzato anche lui in quella chiave, non avesse personalmente consapevolezza della psywar. In una nota allo Stato Maggiore del 14 luglio ‘43, dopo l’invasione anglo-americana della Sicilia, Mussolini disponeva di prendere informazioni su quanto accaduto anche dai comunicati ufficiali degli Anglo-Americani, perché, a suo dire, il nemico “dice la verità quando vince”.
In realtà la guerra psicologica comporta il mentire soprattutto dopo le vittorie, in modo da consolidarne i risultati facendo crollare il morale del nemico. Per questo motivo, gli Anglo-Americani avevano fatto credere che la campagna di Sicilia fosse stata una passeggiata, e che i soldati italiani fossero stati desiderosi solo di arrendersi o fuggire. Vi furono sì episodi sospetti, come la caduta di Augusta - e, prima ancora, quella di Pantelleria -, ma in effetti la resistenza italiana fu accanita. Recenti ricerche storiche, raccolte in un libro dal senatore Andrea Augello, hanno messo in evidenza come presso Gela la battaglia fosse stata furiosa e dall’esito incerto. Molti prigionieri italiani furono poi fatti passare per le armi dal generale Patton, irritato per l’eccessiva resistenza incontrata.
L’alibi del “tradimento”- che certamente vi fu da parte dei vertici della Marina Militare italiana, tutti di obbedienza massonica di Rito Scozzese - venne così esteso, a beneficio del fascismo, all’intero popolo italiano. Era come conferire alla neonata Repubblica Sociale Italiana un mandato per scatenare una guerra civile, in nome della punizione del “traditore” genericamente inteso.
I Tedeschi contribuirono in tal senso, imponendo ad un Mussolini recalcitrante, la coscrizione obbligatoria, che di fatto condannava l’esercito della Repubblica Sociale a diventare una polizia impegnata nella caccia ai disertori ed ai renitenti alla leva. Di fatto la Repubblica Sociale non ebbe mai un vero esercito, ma solo una serie di bande armate private, che svolgevano, abusivamente e impunemente, anche compiti di polizia; un dato che faceva crollare tutta la pretesa di legittimità della RSI, basata sulla promessa di opporsi all’invasore anglo-americano.
Il fatto fu anche denunciato dal direttore repubblichino de “La Stampa” di Torino, Concetto Pettinato, il quale pretendeva che, una buona volta, la Repubblica Sociale schierasse proprie divisioni contro gli Anglo-Americani. Pettinato ottenne solo di essere rimosso dalla direzione del quotidiano torinese e, perciò, soltanto singoli reparti repubblichini furono impegnati dai Tedeschi nella guerra contro gli “Alleati”.
La responsabilità della “guerra civile” è comunemente stata attribuita ai comunisti, i quali se l’addossarono, in nome della loro consueta linea politica, che imponeva di compensare le loro pratiche compromissorie con l’establishment, attraverso un estremismo verbale che desse un contentino alla base del partito. I mitici “rivoluzionari di professione” del gruppo dirigente comunista si rivelarono, per molti aspetti, dei dilettanti allo sbaraglio, perciò non deve sorprendere il fatto che i loro eredi siano stati cialtroni del calibro di Occhetto, D’Alema, Fassino e Veltroni.
Per comprendere la confusione che c’era, e che c’è tuttora a riguardo, si può ascoltare un inno della Repubblica Sociale, “Hanno ammazzato Ettore Muti” (è reperibile su YouTube), in cui l’uccisione del gerarca fascista pluridecorato Muti - già segretario del Partito Nazionale Fascista -, viene attribuita ai comunisti: “Vendetta, sì vendetta, farem sui comunisti”; e poi, col consueto buongusto fascista: “col sangue partigiano gli laverem la bara”.
Ebbene, Muti non era stato ucciso dai comunisti, né dai partigiani di qualunque parte, e non ebbe niente a che fare con la Repubblica Sociale, se non per il dettaglio che numerose formazioni repubblichine adottarono il suo nome. Muti era stato assassinato dai Carabinieri nell’agosto del ’43, un mese dopo la caduta di Mussolini, durante un finto arresto. Insomma, un tipico assassinio di Stato, di cui il diretto mandante fu il Presidente del Consiglio, Pietro Badoglio.
Secondo uno storico repubblichino, Bruno Spampanato, le responsabilità dei Carabinieri vennero accertate anche da un’inchiesta promossa dalla stessa Repubblica Sociale; ma nonostante ciò, quell’inno e quella propaganda anticomunista rimasero, perché la linea era, ed è, di scaricare la responsabilità della guerra civile sui comunisti. Ciò dimostra ancora una volta che l’anticomunismo costituisce l’unico collante di quel confuso calderone ideologico che è la “destra”, e spiega perché l’anticomunismo si sia esasperato proprio dopo la fine dell’URSS.
L’assassinio di Muti non è un “mistero”, perciò nessuna trasmissione di Lucarelli o di Augias potrà occuparsene; è un fatto acclarato, di cui però non si deve più parlare, perché contrasta con la versione anticomunista della “guerra civile”, quella divulgata da Giampaolo Pansa a beneficio dei drogati di anticomunismo. È necessaria questa omertà, per evitare che si diffonda il dubbio che tanti degli omicidi attribuiti ai partigiani, non siano stati in effetti commessi da loro.
Tramite quella versione di comodo della “guerra civile”, agli Italiani, dopo aver espiato il fascismo, è toccato perciò di espiare anche l’antifascismo. Miracoli della psywar!
Non è escluso che anche adesso avvenga altrettanto e, dopo il berlusconismo, si sia costretti ad espiare anche l’antiberlusconismo.
La notizia riportata da alcuni giornali il 14 agosto, è che undici - secondo altri diciassette - famiglie di militari della Marina americana lasceranno le loro case in fitto a Casal di Principe, in provincia di Caserta, poiché, secondo rilevamenti effettuati dalle stesse autorità militari statunitensi, l’acqua del luogo sarebbe inquinata. Le autorità militari statunitensi non avrebbero ritenuto adeguati i controlli fatti effettuare a sua volta dal sindaco di Casal di Principe, perciò la decisione è risultata definitiva.
La notizia che alcuni militari americani se ne vadano, non è di quelle che muovono alle lacrime, ma in tutta la rappresentazione proposta dai giornali c’è qualcosa di sbagliato, che lascia intravedere qualcos’altro.
Che i militari americani eseguano in prima persona dei loro controlli sulle acque del luogo è plausibile, poiché, notoriamente, fanno il comodo loro ovunque si insedino; ma ciò che risulta strano è che il loro interlocutore in queste faccende sia un sindaco e non il governo. Ancora più strano è che su questioni militari si apra poi un confronto pubblico, quando i militari americani potevano semplicemente andarsene senza fornire spiegazioni, dato che le autorità militari non soltanto non sono tenute a dare chiarimenti sulle loro scelte, ma, in base ai loro regolamenti, non li devono proprio dare.
Si è quindi di fronte ad una vera e propria ingerenza da parte degli Stati Uniti negli affari interni di un Paese “alleato” - in realtà colonizzato -, di un Paese “ospitante” - in realtà occupato - ; ma non consiste neppure in questo l’aspetto eclatante, ma nel fatto che tale ingerenza venga operata in modo palese, chiassoso e plateale, senza che ciò susciti reazioni ufficiali da parte del governo italiano.
È evidente che ci troviamo in una di quelle situazioni in cui il colpevole si crea un alibi recitando la parte dell’accusatore, ed anche della vittima. Che in Campania ci sia un inquinamento delle falde acquifere, i militari americani non lo hanno scoperto tramite i loro controlli, ma semplicemente perché sono proprio le loro basi la principale fonte di rifiuti tossici della regione. Non a caso, il governo Berlusconi è stato costretto dalla NATO a porre sotto segreto militare, con la Legge 123/2008, tutta la gestione dei rifiuti in Campania; per cui, ora in Campania, chiunque si avvicini ad una discarica o ad un inceneritore, incorre nelle sanzioni dell’articolo 682 del Codice Penale.
In questa vicenda dell’addio a Casal di Principe, vi sono anche indizi di prove tecniche di guerra psicologica, quella che i tecnici statunitensi del settore chiamano “psywar”. Per la prima volta dopo molti anni, le autorità militari statunitensi cominciano a relazionarsi esplicitamente come una forza di occupazione, saltando la mediazione governativa e intrattenendo pubblici rapporti con le amministrazioni locali. Il tutto viene fatto passare in modo inavvertito, come normalità, in modo da creare precedenti e abitudine.
Ci sono molti segnali che lo Stato italiano così com’è, sia in via di liquidazione, in vista della balcanizzazione, cioè della formazione di repubblichette “indipendenti” - delle Basi Nato Republic -, che costituiscano la facciata per la presenza di basi militari USA, con traffici illegali annessi; ivi compresi i traffici e lo smaltimento illegale di scorie militari, nucleari e industriali. Insomma, un’Italia ridotta a tanti piccoli Kosovo.
All’opinione pubblica italiana è stato celato che in effetti un progetto del genere era già in atto da parte anglo-americana nel 1943, e fallì per l’intervento di Stalin.
Il 14 marzo 1944 - una data fatidica, che però oggi non dice niente a nessuno - pervenne al Regno del Sud il primo riconoscimento diplomatico dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, allorché il governo Badoglio aveva accettato la resa senza condizioni nei confronti degli Anglo-Americani. Questo primo riconoscimento, con tanto di scambio di ambasciatori, pervenne al Regno da parte dell’Unione Sovietica.
Sino a quel momento, in base alle clausole dell’armistizio - rimaste segrete -, l’Italia doveva considerarsi come territorio occupato, puro e semplice; perciò Stato e governo dovevano considerarsi senza più personalità giuridica propria, ma come mere cinghie di trasmissione degli occupanti.
Stalin capì che ciò preludeva ad una suddivisione dell’Italia in staterelli minori, più gestibili dalle forze di occupazione anglo-americane. In Sicilia era già pronto un movimento indipendentista, il MIS.
Di tutto questo il CLN non aveva ancora recepito nulla, poiché non sapeva nulla neanche del contenuto del documento di armistizio, e inoltre si baloccava con la leggenda di una “Carta Atlantica”, firmata dagli Alleati; un documento mitico che, secondo le dicerie propagandistiche, avrebbe garantito l’integrità degli Stati, e dei loro confini, nei termini prebellici. Soltanto nel 1945, poco prima di morire, il presidente USA Roosevelt si decise a rivelare che, in realtà, non era mai esistito alcun documento del genere. La sconcertante rivelazione però non diminuì per nulla la popolarità di Roosevelt, e neppure incrinò il mito degli Americani “liberatori”; così come, probabilmente, oggi non creerà particolare delusione negli adoratori di Obama la sua rivelazione che la promessa dell’istituzione di una sanità pubblica negli USA fosse tutto uno scherzo.
L’episodio del riconoscimento dello Stato italiano da parte dell’URSS, venne quasi immediatamente banalizzato e occultato dalla propaganda ufficiale, presentandolo come una questione interna all’Italia, e diventò la “svolta di Salerno”, in cui il segretario comunista Togliatti accettava di collaborare col re e con Badoglio. Per come la mise Togliatti, il tutto davvero si risolse, in politica interna, in una mera svolta a destra del PCI, il quale, col solito autolesionismo, tacque sulla decisiva importanza del gesto diplomatico di Stalin. Se ne accorsero perciò, con disappunto, solo quelli della Repubblica Sociale, la quale, sino a quel momento, era l’unico Stato italiano a poter vantare dei riconoscimenti diplomatici.
In realtà Stalin aveva rotto le uova nel paniere agli Anglo-Americani, poiché, con il suo riconoscimento diplomatico, aveva resuscitato uno Stato italiano seppellito dalle clausole dell’armistizio, liquidando così i progetti separatistici nati in funzione dell’occupazione militare statunitense.
La questione delle basi militari americane costituisce il segnale che svela il carattere pretestuoso e provocatorio dei progetti separatistici tipo Lega Nord. Si vuole una Padania indipendente da Roma ladrona e dal Sud-zavorra, ma non dall’occupazione militare della NATO; cosa che suggerisce che si tratti di un indipendentismo funzionale agli interessi della stessa NATO.
Del resto basta vedere chi siano i veri ideologi del gruppo dirigente della Lega Nord. Ad esempio, dove ha preso Bossi la proposta delle gabbie salariali per il Sud?
L’ha presa da una vecchia intervista di Edward Luttwak, tecnico statunitense di psywar. In questa intervista, che circola ancora su internet, Luttwak, dopo essersi profuso in elogi sperticati e subdoli sulle mirabolanti virtù dei Meridionali e sull’eccezionale potenziale di sviluppo del Sud, alla fine arriva al sodo, cioè alla proposta di salari più bassi per i lavoratori meridionali, in modo da favorire gli investimenti.
È l’eterna storia del corvo e della volpe, narrata da Esopo; in cui la volpe riesce a far mollare al corvo il pezzo di formaggio che ha nel becco chiedendogli di ascoltare la sua bellissima voce. È segno che, per gli USA, nel Sud indigente c’è ancora qualche pezzo di formaggio da rubare.
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