Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da tempo alla RAI fervono i preparativi per la puntata speciale di “Porta a Porta” in occasione della ricorrenza della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Con i preparativi cresce però anche la preoccupazione per l’evento; una preoccupazione che nei giorni scorsi pare abbia preso addirittura le caratteristiche dell’attacco di panico.
Sui loro teleschermi gli Italiani vedranno infatti scorrere le immagini d’epoca, prima tra tutte quella in cui Bruno Vespa al telegiornale annunciava trionfalmente il nome del colpevole della strage alla Banca dell’Agricoltura: l’anarchico Pietro Valpreda.
Per i giovani telespettatori potrebbe essere un trauma. Ma come? Quaranta anni fa il presentatore di “Porta a Porta” era già lì! E proprio a lui era conferito l’onore di diffondere la versione ufficiale che poi si sarebbe rivelata clamorosamente falsa!
Bruno Vespa: colui che viene fatto passare per il testimone imparziale, per il notaio nel cui salottino/studiolo Berlusconi è andato a firmare il contratto con gli Italiani. Bruno Vespa apparirà improvvisamente non come un cronista, per quanto servile, ma come uno coinvolto nei fatti, il più coinvolto di tutti, data la sua anzianità di servizio nel depistaggio.
Quaranta anni di onorato servizio? E se il vero capo - il Capo dei Capi - fosse proprio lui? Altro che Totò Riina.
A quel punto potrebbe essere la fine. Tutta la carriera di Bruno Vespa potrebbe essere riveduta sotto questa nuova luce. Una volta crollata la diga della credulità, i sospetti dilagheranno e scoperchieranno tutto.
Se Bruno Vespa è coinvolto nel depistaggio sulla strage, perché non anche nella strage? E poi: perché tante puntate di “Porta a Porta” sul delitto di Cogne? I sospetti diverranno certezze: il vero assassino di Cogne è Bruno Vespa.
Bisognava correre ai ripari, per prevenire la catastrofe, per fare in modo che le parole pronunciate da Bruno Vespa quaranta anni fa davanti a milioni e milioni di Italiani non apparissero per delle sfacciate menzogne. Valpreda deve assolutamente essere presentato come colpevole, almeno in parte.
Che si fa? Si prende un giornalista de “l’Unità”, così si può far credere che sia imparziale, e lo si sceglie fra quelli che abbiano la fama di giornalisti “investigativi”, cioè si fanno imbeccare dai servizi segreti. Poi gli si fa scrivere un libro/rivelazione su Piazza Fontana e gli si fa fare tanta pubblicità preventiva dal “Corriere della Sera”. Per dicembre il libro sarà uscito e l’autore, Paolo Cucchiarelli, potrà essere invitato a parlarne a “Porta a Porta”, per dimostrarci la colpevolezza di Valpreda.
Tutto è già previsto: Cucchiarelli prenderà la parola per spiegare ai telespettatori ciò che ha già esposto nel libro. A Piazza Fontana le bombe furono due, anche le borse furono due, persino i Valpreda furono due, uno vero e uno finto.
Cucchiarelli ci spiegherà poi dove ha preso queste informazioni così attendibili: la sua prima fonte è un funzionario del SISDE, i servizi segreti civili; poi ci sono alcuni documenti dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, che era proprio quella struttura che poi si sarebbe chiamata SISDE.
Ma a questo punto a qualche telespettatore non potrebbe venire in mente che anche Cucchiarelli sia un agente del SISDE? E l’Ufficio Affari Riservati - il protoSISDE - non è risultato coinvolto anch’esso nella strage?
Giusto. Allora a Cucchiarelli si farà citare anche due fonti libere e imparziali: il magistrato che per primo ha avviato le indagini sulla falsa pista anarchica, ed un generale esperto di esplosivi, uno legato al segreto militare e alla disciplina NATO. Più imparziali di cosi!?
E poi c’è l’asso nella manica. Cucchiarelli potrà svelarci anche che gli anarchici non mettevano le bombe solo nel 1969. Continuano anche adesso. In base alle informative del solito SISDE, si sa che si fanno chiamare Federazione Anarchica Informale, e, secondo la ricostruzione di un Pubblico Ministero, questa FAI informale non è altro che il braccio armato della Federazione Anarchica Italiana, quella storica, fondata nel 1945.
I telespettatori si immagineranno la scena: gli anarchici della FAI segretamente riuniti per dare vita ad una organizzazione armata segreta e parallela. Si immagineranno - o vedranno ricostruita in un’apposita fiction - la loro discussione: che nome dare a questa organizzazione armata in modo che nessuno sospetti un suo legame con la FAI? Ovvio: la chiameremo FAI!
Geniale. Purtroppo per loro, gli anarchici non avevano tenuto conto delle facoltà mentali superiori - quasi medianiche - dei Pubblici Ministeri italiani, perciò il segretissimo legame tra la FAI e la FAI informale è stato scoperto. Peccato. Da parte degli anarchici sarebbe bastato un po’ più di fantasia nella ricerca del nome. Ad esempio: SISDE informale.
Cucchiarelli potrà concludere la trasmissione dichiarando che gli anarchici erano bombaroli nel 1969 e bombaroli adesso. Quindi Bruno Vespa aveva ragione ad additare Valpreda come il colpevole. Un applauso.
La giornata mondiale per l’ambiente, proclamata dall’ONU per il 5 giugno, è diventata un’occasione di propaganda, mondiale e in grande stile, sul tema del riscaldamento globale del pianeta che sarebbe dovuto all’emissioni di carbonio. La questione del riscaldamento globale è già diventata piuttosto popolare a causa del film dell’ex vicepresidente USA, Al Gore, che è stato praticamente santificato dai riconoscimenti ufficiali sinora ottenuti.
La questione del riscaldamento globale è scientificamente controversa, poiché si fa notare, da parte di alcuni climatologi e alcuni storici, che nel corso degli ultimi secoli si sono succeduti e alternati nel clima terrestre sia brevi periodi di riscaldamento che di glaciazione. Questo tipo di discussione scientifica è interessante, ma in sé non può togliere assolutamente nulla all’allarme mediatico che si sta consolidando sulla questione, poiché per determinare un’emergenza è sufficiente agitare il dubbio.
Da parte di molti ambientalisti si fa inoltre un’affermazione che può apparire di buon senso, e che consiste nell’osservare che l’ambiente subisce sicuramente e ogni giorno una serie di aggressioni e di danni che risultano di immediata e certa evidenza; perciò anche allarmi scientificamente non ancora provati, come l’effetto-serra e il buco dell’ozono, possono contribuire ad aumentare la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti del problema ambientale ed a far cessare lo sfruttamento eccessivo delle risorse del pianeta. A questo riguardo si parla perciò di “decrescita”, presentata come una necessità di fronte agli obiettivi limiti dello sviluppo umano.
Il problema è che però la decrescita, in se stessa, non comporta affatto un minore inquinamento ed una minore aggressione all’ambiente. Oggi esistono business che comportano una diminuzione dello sviluppo e un aumento della povertà, ma non una diminuzione dei danni ambientali. È il caso della privatizzazione dell’acqua.
Dovunque l’acqua sia stata privatizzata, ciò ha comportato un tale aumento del prezzo di questa risorsa, che il risultato è stato il ricorso delle popolazioni a falde idriche inquinate, sia per l’uso potabile che per l’irrigazione in agricoltura. In altri termini, la privatizzazione dell’acqua non diminuisce affatto l’inquinamento delle risorse idriche, ma, al contrario, rende merce appetibile, preziosa e competitiva persino le acque più inquinate.
Ovunque la privatizzazione dell’acqua sia stata imposta, ciò ha inoltre determinato un ulteriore decadimento delle infrastrutture idriche, con un crescente spreco ed un minore igiene sia nel trasporto, sia nel deposito dell’acqua nei serbatoi. Questa conseguenza era prevedibile e ovvia, dato che i privati non dispongono assolutamente delle risorse finanziarie per adeguare le infrastrutture idriche, e, seppure ne disponessero, comunque non le adeguerebbero, poiché non ci sarebbe da ricavare alcun profitto in più. Si è potuto infatti constatare che più le risorse idriche sono scarse e scadenti, più il business dell’acqua se ne avvantaggia.
La privatizzazione dell’acqua viene imposta da ormai più di dieci anni in tutti i Paesi del mondo dal Fondo Monetario Internazionale, un’istituzione creata nel 1946, che a sua volta è non è altro che un’emanazione della Federal Reserve, la banca privata che negli USA svolge dal 1913 la funzione di banca centrale. Non è quindi un caso che a gestire il business dell’acqua a livello mondiale siano soprattutto delle aziende multinazionali statunitensi.
Il FMI, sebbene anch’esso sia una banca privata, ha ricevuto però un inquadramento giuridico in ambito ONU, e quindi può considerarsi la banca centrale planetaria a tutti gli effetti. Se davvero si prevede un riscaldamento globale, con una conseguente e inevitabile diminuzione delle risorse idriche, allora come mai l’ONU favorisce - anzi impone - la privatizzazione dell’acqua attraverso una delle sue istituzioni?
Al Gore ne ha dette tante, ma non risulta che abbia mai preso posizione contro la privatizzazione dell’acqua, e questo avrebbe potuto essere un ottimo riscontro della sua buona fede; un riscontro che invece non abbiamo. La privatizzazione dell’acqua è già in sé un crimine spaventevole, ma se davvero è in atto un riscaldamento globale, allora una privatizzazione dell’acqua, in presenza di una diminuzione delle risorse idriche, diventa un crimine addirittura assurdo, ed il non denunciarlo, anzi il continuare a tenerlo celato, costituisce un indizio di malafede.
Il tutto infatti suona meno assurdo, se si considera che l’allarme-riscaldamento lanciato da Gore ha posto le condizioni per un’emergenza idrica e per un aumento crescente del prezzo dell’acqua, lanciando così il business della privatizzazione dell’acqua ai livelli dei business del petrolio o del gas.
Sinora l’altro sviluppo pratico delle tesi di Gore pare sia quello di aumentare le tasse sui consumi energetici per trovare i soldi per soccorrere le banche; ed infatti in questo senso si sta muovendo anche l’altro santino dei media, il presidente USA Barak Obama, il quale, a sua volta, non ha fatto alcun cenno ad un ritorno al controllo pubblico delle risorse idriche, che pure sarebbe strategico in vista di un eventuale riscaldamento globale.
Grazie ai media abbiamo conosciuto tutte le meschine vicende personali di Berlusconi; ma nell’agosto del 2008 lo stesso Berlusconi aveva commesso un crimine ben più efferato, di cui invece non si è quasi parlato: la privatizzazione dell’acqua, sancita dall’articolo 23bis della Legge 133/2008, stilata dal ministro Tremonti.
Non soltanto di questo crimine non si è quasi parlato, ma addirittura in questi mesi si è scatenato un finto anti-berlusconismo di copertura, in cui si sono distinti non solo i soliti giornalisti, ma anche intellettuali insospettabili. È il caso di Paolo Flores d’Arcais, il quale in una recente intervista al quotidiano spagnolo “El Pais”, ha definito Berlusconi un pericolo per la democrazia, e lo ha anche paragonato a Putin, paventando addirittura una “putinizzazione” dell’Italia.
In realtà Putin è sì un pessimo soggetto, ma è anche colui che ha sottratto alle multinazionali anglo-americane il petrolio, il gas e tutte le altre risorse della Russia; invece Berlusconi, oltre ad essere uno squallido soggetto, è soprattutto colui che ha regalato alle multinazionali anglo-americane l’acqua dell’Italia e, sempre tramite la Legge 133/2008, all’articolo 16, anche gran parte dei suoi beni culturali che appartenevano al Demanio dello Stato. Berlusconi, inoltre, sta spalancando le porte del territorio ex-italiano alle multinazionali anglo-americane ed alla NATO, assicurando loro non solo il business dell’acqua, ma anche quello dello smaltimento dei rifiuti tossici, al quale ha offerto la copertura di un’altra legge, la 123/2008, che all’articolo 2 comma 4 prevede persino il segreto militare sulle discariche civili in Campania.
Con la sua faccia nobile, Gore ha creato le premesse dell’emergenza idrica planetaria e dell’aumento del prezzo dell’acqua, mentre, con la sua faccia da degenerato, Berlusconi l’acqua ce l’ha privatizzata. Al di là delle facce, il tutto sembra un gioco di squadra per lo stesso committente: il FMI.
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