Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Persino a Giorgia Meloni può capitare di dire ogni tanto la verità, magari senza saperlo o senza accorgersene, oppure sperando di non essere creduta. La Meloni afferma che il suo progetto di riforma costituzionale, che introdurrebbe un presunto “premierato”, non tocca i poteri del Presidente della Repubblica. Secondo alcuni organi di stampa la Meloni sarebbe stata smentita dai costituzionalisti ascoltati in audizione al senato; ma questa “smentita” non dimostra nulla, dato che oggi la categoria dei “costituzionalisti” è una delle più prostituite e screditate (al livello dei giornalisti), perciò avrebbe avuto altrettanto peso se la smentita fosse arrivata dai cartomanti.
In realtà, anche col premierato meloniano, il Presidente della Repubblica continuerebbe a presiedere il Consiglio Supremo di Difesa ed il Consiglio Superiore della Magistratura, conserverebbe inoltre la prerogativa di controfirmare le leggi e di nominare cinque giudici costituzionali. Il punto più importante è che rimane al Presidente della Repubblica la prerogativa della nomina dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio incaricato. La riforma meloniana quindi non istituisce nessun premierato, dato che la caratteristica qualificante di tale concezione del governo non è l’elezione diretta, bensì il fatto che il primo ministro possa scegliersi del tutto autonomamente i ministri ed, eventualmente, sostituirli. Ad esempio, il ministro dell’Economia e Finanze controlla la cassa, perciò se un “premier” non può sbarazzarsene per metterne un altro al posto suo, vuol dire che conta come il due di coppe. In altri termini, la Meloni sta prendendo per i fondelli il suo elettorato, al quale aveva promesso una riforma della Presidenza della Repubblica e non della Presidenza del Consiglio; ed ora Giorgia cerca di far credere ai suoi fan che vuole limitare il potere di Mattarella e ridurlo ad un taglianastri; ma non è assolutamente vero.
La nostra Costituzione “più bella del mondo” assegna poteri enormi al Presidente della Repubblica, ma queste pur notevoli prerogative costituzionali non potrebbero comunque spiegare molti degli eccessi del super-presidenzialismo all’italiana, compresa l’attuale possibilità per il Capo dello Stato di teleguidare la propria rielezione. La vera fonte dei superpoteri presidenziali non sta quindi nella Carta Costituzionale, bensì nel sistema dei media. Oggi la figura del Presidente della Repubblica è pienamente saldata con i media mainstream, per cui egli parla ed agisce completamente all’unisono con essi. L’iconizzazione mediatica di Mattarella si è estesa addirittura alle fiction, per cui in serie televisive come “Imma Tataranni” e “Blanca” il superpresidente è assurto al ruolo di nume tutelare delle due protagoniste. Questa sorta di ircocervo, che potremmo chiamare “Mediarella”, può permettersi di svolgere una funzione pedagogica in nome del politicamente corretto nei confronti di un popolo infantilizzato, per cui la “pari dignità sociale”, così enfatizzata dalla Costituzione, se ne va a farsi benedire. La funzione pedagogica si estende anche ad altri popoli, per cui Mattarella paternamente riconosce dei diritti ai palestinesi, purché si tratti di palestinesi ideali e perfettini, che sanno comportarsi bene e stare composti a tavola. Il Capo dello Stato può inoltre rilasciare dichiarazioni del tutto arbitrarie, al di fuori di ogni procedura e di ogni riferimento a fonti ufficiali. Ad esempio, da mesi Mediarella va in giro per il mondo affermando che Hamas non rappresenta il popolo palestinese e che questa organizzazione avrebbe commesso atti terroristici contro la popolazione civile israeliana, tra cui sgozzamenti di bambini e stupri. Ammesso che sia così, in base a quali documenti ufficiali il nostro Capo dello Stato lo può affermare?
A distanza di mesi dai presunti eventi del 7 ottobre, il quotidiano “New York Times” ammette tranquillamente che il governo israeliano non ha mai neppure avviato una raccolta di prove sui crimini attribuiti ad Hamas. A quanto pare in quel momento in Israele erano talmente sotto shock che non hanno pensato ad un’inchiesta che accertasse e ricostruisse i fatti. Il “New York Times” promette che le prove si troveranno adesso, e rimprovera preventivamente le femministe di non indignarsi abbastanza. Il punto è però che allo stato attuale non esistono documenti ufficiali delle autorità israeliane sui crimini di Hamas e che tutto è puro rumore mediatico.
Questo schema comunicativo, pedagogico nello stile ed arbitrario nei contenuti, è stato applicato da Mediarella soprattutto in epoca psicopandemica, allorché egli ha affermato che i non vaccinati non potevano appellarsi alla libertà poiché violavano la libertà degli altri di non contagiarsi. Neanche questa dichiarazione aveva la minima pezza d’appoggio ufficiale, in quanto non esistevano documentazioni che avallassero la pretesa di un potere immunizzante dei presunti vaccini. Ancora una volta solo rumore mediatico o, se si preferisce, pubblicità ingannevole. Si dà una certa cosa per sicura, alludendo o ammiccando a ipotetiche documentazioni ufficiali, che poi si scopre che non ci sono ma che forse arriveranno. Quelle dichiarazioni così perentorie provenivano dal Capo di uno “Stato” che non aveva neppure ritenuto di approvare in via definitiva i vaccini che imponeva. A questo punto non è più nemmeno questione di libertà, bensì di un potere che pretende dedizione ed abnegazione totale dai sudditi e per sé rivendica il diritto ed il privilegio di contraddirsi. Si tratta della stessa “logica” in base alla quale Mattarella parla di “pace” senza poi riconoscere al nemico la dignità di interlocutore. Lo schema è ricorrente: ci sono tanti bei diritti, però sono riservati ad un’umanità ideale; per adesso bisogna sottomettersi ad un’emergenza antropologica che consiste nella minaccia di terrapiattisti, no-vax, terroristi, putiniani, e così via. Persino le “DIGOS Productions”, come gli assalti alla CGIL e le adunate di Acca Larenzia, rientrano nell’emergenza, come se il fascismo non fosse appunto un emergenzialismo antropologico, cioè l’invocazione di un biopotere dispotico per tenere a bada l’umanità inferiore e degenerata.
Un ulteriore esempio di aggiustamento in corso d’opera della versione mediatica (spacciata però per versione ufficiale), ce lo fornisce il solito “Open”, il quale dà dell’ignorante al deputato europeo che si è permesso di chiedere alla rappresentante di Pfizer se esistesse documentazione che attestasse un potere immunizzante dei sieri. “Open” ci spiega che prevenendo le forme gravi dell’infezione, il vaccino limiterebbe anche il contagio, e che ciò sarebbe stato comprovato da studi “successivi”. Anche volendoci credere, rimarrebbe comunque il fatto che si è data per scontata una capacità del siero di bloccare o limitare il contagio senza che vi fossero attestati ufficiali da parte dell’azienda produttrice. Draghi e Mattarella quindi hanno rilasciato dichiarazioni ai media senza riferimento ad una fonte che non consistesse negli stessi media. Qui si è oltre la propaganda dato che si tratta di un modello comunicativo del tutto autoreferenziale che rimbalza dai media al Presidente della Repubblica e viceversa. Va detto comunque che soltanto in Italia il “green pass” è stato imposto per accedere ai luoghi di lavoro e che altrove non si è osato tanto. Sfortunati paesi che non hanno “Open”.
Sono apparse un po’ arzigogolate le motivazioni addotte in parlamento dal ministro Crosetto per giustificare l’ennesimo invio di armi all’Ucraina. Forse avrebbe potuto cavarsela con un più lapidario: “Se non mando le armi non guadagno”. Bisogna comunque riconoscere che ci sono nell’intervento del ministro anche non trascurabili passaggi di umorismo involontario; come quando afferma di non capire come l’azione diplomatica possa fermare missili e droni. In realtà l’azione diplomatica dovrebbe servire per convincere a fermarsi quel governo che ordina ai suoi militari di lanciare missili e droni. D’altra parte davanti ad un ragionamento con tanti passaggi, la mente di Crosetto non poteva che vacillare.
Il problema semmai è che oggi gli spazi per un’azione diplomatica non ci sono più, dato che tra aprile e maggio del 2022 furono boicottate tutte le ipotesi di accordo. Il quotidiano “La Stampa” ci faceva sapere che il fronte dei falchi era guidato dal primo ministro britannico Boris Johnson e che la strada da scegliere per la NATO non era arrivare ad un compromesso, bensì di aiutare l’Ucraina a sconfiggere la Russia. Nel 2022 si spacciava come realistica l’ipotesi di una vittoria della NATO e dell’Ucraina ed una disfatta della Russia. Quella era la narrativa pubblicitaria imposta dalla lobby delle armi.
Pare che Mattarella ad ottant’anni abbia scoperto che il mondo è cattivo. Nel novembre scorso egli ci avvisò che stavano riemergendo i fantasmi dell’imperialismo. Secondo il nostro superpresidente l’imperialismo va contrastato con la cooperazione ed il dialogo, cioè mandando armi all’Ucraina che, grazie a quelle, ci ha già rimesso mezzo milione di cittadini morti, altrettanti invalidi e oltre dieci milioni scappati dal paese. La Russia è un impero e, di solito, gli imperi sono imperialisti, per cui non c’era da sorprendersi che Mosca pretendesse di avere una zona cuscinetto ai suoi confini. Ancora una volta il problema riguarda il delirio di onnipotenza della narrativa del Sacro Occidente, per il quale non esistono rapporti di forza. L’unico problema di USA e NATO starebbe invece nel rischio di essere troppo buoni, cioè nella preoccupazione di evitare escalation dei conflitti. Come dicono i Neocon americani e nostrani: estendiamo il conflitto finché non abbiamo imposto a tutti i paesi i regimi che ci piacciono; costi quello che costi. Ma questa non è strategia, e neppure ideologia, semmai uno spot per le armi che ammicca all’adolescente/bullo annidato nell’animo di ognuno, quello che si racconta di poter risanare il mondo umiliando i deboli.
Il cattivissimo imperialismo russo è stato ridotto per decenni sulla difensiva, eppure ha continuato a ragionare in termini imperiali, infatti non ha mai smantellato la sua industria militare e ne ha preservato il carattere interamente pubblico. Gli imperialisti buoni (o troppo buoni) di USA e NATO appaiono invece un po’ più schizofrenici, dato che mescolano troppo la guerra imperialista con la guerra di classe interna. Proprio il conflitto in atto in Ucraina ha messo in evidenza che i paesi della NATO si sono deindustrializzati, per cui non riusciranno ad inviare a Kiev il milione di munizioni promesso entro il prossimo marzo. Per produrre mine e proiettili ci vogliono tantissime fabbrichette metalmeccaniche del vecchio tipo, che purtroppo rendono poco; mentre i veri affaroni si fanno con le produzioni ipertecnologiche ad altissimo valore aggiunto per fabbricare giocattoli talmente sofisticati e costosi da risultare inutilizzabili, come il caccia F-35.
Lo sviluppo industriale di base non consente profitti paragonabili per entità e rapidità ai profitti della finanza, per cui si è visto in questi ultimi decenni che privatizzare equivaleva a deindustrializzare. La cosa non ha turbato più di tanto; anzi, i due alfieri della privatizzazione/deindustrializzazione italiana, cioè i banchieri Guido Carli e Mario Draghi, sono stati addirittura santificati. Era giusto così, dato che Carli e Draghi hanno liberato il nostro establishment da quel fastidioso intralcio rappresentato dalla forza delle grandi concentrazioni operaie. Abbiamo visto come il draghiano “Whatever it takes” sia stato applicato soprattutto alle privatizzazioni, attuate ad ogni costo ed in pura perdita per il bilancio statale. La fine dei regolari approvvigionamenti energetici dalla Russia ha persino accelerato la deindustrializzazione dell’Europa e della mitica Germania; ma anche questa constatazione non ha rappresentato un motivo per raffreddare gli ardori bellicisti ed anti-russi.
Una delle domande più frequenti (e più stupide) è se la guerra abbia o meno motivazioni economiche. Il dilemma è assolutamente privo di senso, poiché quello di economia è un concetto vago e astratto, che può comprendere interessi assolutamente opposti; perciò i soggetti concreti in campo sono le lobby d’affari. Per ottenere un cessate il fuoco e l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, i guerriglieri Houti stanno attaccando nel Mar Rosso le navi di paesi occidentali, quelli che supportano Israele. La risposta angloamericana è stata di estendere il conflitto attaccando presunti siti dei guerriglieri nello Yemen. In realtà il bombardamento era stato ampiamente annunciato, quindi gli Houti hanno avuto tutto il tempo di nascondere o dislocare le proprie postazioni, per cui, come al solito, i bersagli sono state le città ed i civili. Rappresaglie del genere hanno anche il fiato corto, dato che i missili da lanciare costano milioni di dollari l’uno; inoltre le scorte non sono infinite, ed infatti si prospettano altri bei contratti per le multinazionali del settore. L’escalation militare ha contribuito a far lievitare ancora di più le tariffe assicurative ed a scoraggiare ulteriormente il passaggio per il Mar Rosso. Molte produzioni industriali si stanno fermando, a causa del conflitto, oppure prendendo a pretesto il conflitto; comunque sia, l’effetto dello spot militarista nel Mar Rosso è lo stesso della guerra in Ucraina, cioè la deindustrializzazione dell’Europa e dell’Occidente in generale.
Oggi prevalgono lobby finanziarie e lobby militari, spesso tra loro intrecciate. Sono lobby, cosche d’affari, e quindi non hanno una visione strategica ma agiscono per riflessi condizionati, perciò non percepiscono la deindustrializzazione come un problema; anzi per loro rappresenta uno stimolo che le fa salivare, poiché promette di aumentare la loro ricchezza e i loro privilegi. Lo abbiamo verificato in epoca Covid, quando i lockdown hanno determinato un macello di piccole imprese industriali, artigianali e commerciali. La psicopandemia è stata condotta all’insegna della metafora bellica, e gli effetti sono stati analoghi, cioè la deindustrializzazione e la pauperizzazione. I lockdown hanno aumentato la povertà e favorito la concentrazione della ricchezza in un’oligarchia ristretta e la concentrazione dei capitali in poche multinazionali finanziarie. Si è trattato di un grande trasferimento di reddito dai poveri ai ricchi; si è accertato infatti che c’è stato un drastico aumento delle disuguaglianze. Il concetto di economia quindi non è soltanto astratto ma anche interclassista.
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