\\ Home Page
Benvenuto nel blog del COMIDAD:
Home Page
Uno dei mantra allegati all’elezione ed alla rielezione di Trump è quello della perdita dell’influenza dei media mainstream sull’elettorato; in altri termini oggi gli elettori tenderebbero in maggioranza a votare in senso contrario a quanto indicato dai principali quotidiani e dai grandi network televisivi. La realtà però è più complicata; infatti, sebbene ostili a Trump, i media mainstream hanno contribuito ad alimentare il mito secondo il quale il suo politicamente scorretto costituirebbe una sfida ideologica all’establishment.
Il problema è che il politicamente scorretto non è altro che un sottoprodotto comunicativo del politicamente corretto e vive in funzione del gioco delle parti, cioè del battibecco che nasconde i veri problemi. Ad esempio: il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro aveva cercato goffamente di fregare il detenuto al 41bis Alfredo Cospito incaricando un parlamentare suo sodale di diffondere alcune intercettazioni effettuate in carcere. Purtroppo da quelle intercettazioni risultava con chiarezza che il regime carcerario del 41bis non comporta affatto l’isolamento dei detenuti; anzi, questi vengono regolarmente fatti incontrare a gruppi nelle ore d’aria. Ciò pone dei dubbi seri sul 41bis; se esso sia davvero un regime di “carcere duro” per il controllo dei boss, oppure sia uno strumento di gestione e manipolazione del crimine organizzato da parte di apparati non identificabili. Non c’era niente di più scontato da parte di Delmastro che riportare confusione lanciando qualche battuta truculenta sul trattamento riservato ai detenuti al 41bis, in modo da scatenare la solita diatriba fumosa tra buonisti e cattivisti. L’importante è che la narrativa dello spot ufficiale sul 41bis non venga messa in dubbio.
Ma il nesso più importante di continuità tra politicamente corretto e politicamente scorretto è certamente il culto della figura del miliardario. Nel 1993 George Soros convogliava le sue varie attività “filantropiche” nella Open Society Foundation, e la sua immagine di miliardario assurgeva al cielo dei santi del politicamente corretto. A incaricarsi di mettere in ombra i conflitti di interesse di Soros etichettando i critici come “complottisti” o antisemiti, sono sempre stati infatti gli organi di stampa più identificati col politicamente corretto “puro e duro”, come attualmente Open o Fanpage. L’unica vera religione è l’odio per l’uguaglianza, ed è una religione trasversale alla destra ed alla fintosinistra; perciò diffidare troppo dei ricchi e dei potenti viene bollato come un comportamento peccaminoso. ... Continua a leggere...
Il gossip ha attribuito le sortite di Elon Musk contro i magistrati italiani alla sua infatuazione per Giorgia Meloni. Perché no? In fondo sono entrambi personaggi costruiti su archetipi fiabeschi. Lei è la Cenerentola della Garbatella, perseguitata dalla sorellastra invidiosa Elly Schlein, ma che riesce comunque a farsi invitare al Gran Ballo dove tocca il cuore dei potenti e magari trova pure il Principe Azzurro. Elon Musk può rivestire i panni del Principe Azzurro, ma vanta soprattutto una carriera da ibrido mitologico: come padrone di Tesla dà vita e forma ad uno dei feticci preferiti dal politicamente corretto in vena di emergenzialismo climatico, cioè l’auto elettrica; come padrone di “X” cavalca il politicamente scorretto seminando battute impertinenti quanto irrilevanti, ma che sono comunque sufficienti a gratificare quella parte di opinione pubblica che crede di potersi opporre alle oligarchie facendo il tifo per qualche oligarca più scavezzacollo. Pur essendo un personaggio mediaticamente controverso, la miliardariolatria in versione Musk trionfa nel talk-show, riuscendo a mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, infatti Marco Travaglio e Italo Bocchino concordano nel definire Musk un “genio”. Il concetto di genialità risulta piuttosto dilatabile, tanto che, volendo, potrebbe essere applicato persino ad Antonio Tajani.
In una cosa però Musk è sicuramente bravo, cioè nel percepire sussidi governativi, quindi a farsi assistere dal contribuente. Musk ci tiene a precisare che incassa meno sussidi governativi della multinazionale Boeing (quella non la batte nessuno), ma neanche lui scherza. Nonostante le scarse performance di vendita e pur avendo più volte sfiorato la bancarotta, Tesla ha una capitalizzazione di Borsa comparabile con quella dei maggiori gruppi automobilistici come Toyota, e ciò lo si deve appunto ai sussidi governativi che eccitano i sedicenti “investitori”. Anche l’altra creatura di Musk, SpaceX, prospera con gli appalti delle agenzie governative come Pentagono e NASA, le stesse agenzie che hanno creato le tecnologie che i vari Musk, Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg hanno commercializzato, spacciandole come proprie invenzioni ad un’opinione pubblica credulona. Ma soprattutto Musk per le sue imprese spaziali percepisce miliardi in finanziamenti pubblici, dati non in cambio di prestazioni ma così sulla fiducia, per incoraggiamento. In chiave di strumentale polemica elettorale la CNN ha rinfacciato a Musk i dati ufficiali che certificano la sua dipendenza dal contribuente povero, dato che i ricchi come lui pagano pochissime tasse, e Trump promette di fargliene pagare meno ancora. La CNN però si è guardata bene dal trarre le logiche conclusioni riguardo a tutto questo assistenzialismo per ricchi, e cioè che i mitici “capitalisti privati” sono in realtà dei boiardi del denaro pubblico, che fanno da sponda esterna a lobby d’affari che occupano istituzioni solo formalmente pubbliche. ... Continua a leggere...
Al regista ed all’interprete del film “Berlinguer, la grande ambizione”, Nanni Moretti ha rivolto la seguente battuta: “Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico”. Ma, prima di amare o odiare il compromesso storico, sarebbe stato utile capire di cosa si trattava, poiché a tutt’oggi non è affatto chiaro.
La linea del cosiddetto compromesso storico fu tracciata da Enrico Berlinguer nel 1973 in tre articoli consecutivi e complementari sulla rivista “Rinascita”; articoli che partivano da un’analisi della vicenda del golpe in Cile. Nel primo articolo Berlinguer affermava: “Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.” Dall’analisi di Berlinguer risulta quindi che l’ostacolo principale da superare per ogni politica socialista è la sopraffazione imperialista, in particolare quella statunitense, che si esercita sia con l’aggressione diretta, sia facendo da sponda all’eversione interna.
Nel secondo articolo Berlinguer prospettava la soluzione al problema di come contrastare l’ingerenza imperialista: “Ecco perché noi parliamo non di una «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica» e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.”
Insomma, secondo il Berlinguer del 1973, per non soccombere all’aggressione imperialista il movimento progressista avrebbe dovuto allargare il più possibile la sua base sociale e politica; ciò, in un paese come l’Italia, comportava un’intesa anche con le masse cattoliche; ovvero, in termini più espliciti, con il partito della Democrazia Cristiana. Ma se avete capito che il cosiddetto compromesso storico consisteva in un antimperialismo iper-prudente e basato su una politica di gradualità e di alleanze, preparatevi ad una delusione.
Non erano passati neppure tre anni dalle sue riflessioni sulla tragedia cilena e Berlinguer, in un’intervista sul “Corriere della sera” del giugno 1976, affermava: “Io penso che, non appartenendo l’Italia al Patto di Varsavia, da questo punto di vista c’è l’assoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento. Ma questo non vuol dire che nel blocco occidentale non esistano problemi: tanto è vero che noi ci vediamo costretti a rivendicare all’interno del Patto Atlantico, patto che pur non mettiamo in discussione, il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. Il concetto veniva poi ribadito: “Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico «anche» per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia.” ... Continua a leggere...
Stamattina, in seguito ad un malore, Licia Rognini vedova di Pino Pinelli, ci ha lasciato.
Davanti al dolore non tutti/e siamo in grado di mostrare una forza di carattere, una dignità e un rigore come ha saputo fare Licia per lungo tempo alle prese con un potere vigliacco ed assassino, una stampa servile, manipolatoria e mistificatrice.
Gran parte della sua vita è stata dedicata alla battaglia per ridare a Pino quello che lo Stato ha cercato di toglierli, la sua umanità, i suoi ideali di giustizia sociale e di libertà, e nel contempo a crescere due figlie, Silvia e Claudia, oggi sempre presenti nelle battaglie antifasciste e antiautoritarie e nell'affermare la memoria del nostro indimenticato compagno Pino.
FAI Milano
Il Comidad si associa al cordoglio per la Morte di Pina Rognini Pinelli
|