Commentario
IL COLONIALISMO IMPRONUNCIABILE
Sulla questione degli operai uccisi dalla
multinazionale Thyssenkrupp, in questi giorni se ne sono dette tante,
ma una parola è rimasta però quasi
impronunciabile: colonialismo. C'è un antico mito
- ripreso anche in una novella di Borges -, secondo il quale se si
pronunciasse il vero nome di Dio, l'universo finirebbe. In un certo
senso è così anche per il colonialismo, ma in
questo caso la magia non c'entra nulla, si tratta semplicemente del
fatto che il collaborazionismo, la complicità, la
corruzione, gli intrecci affaristici hanno bisogno di coperture e di
alibi.
Colonialismo è una di quelle parole che fanno da argine
anti-cazzate, ed anche se ovviamente le cazzate qui o là
comunque filtrano sempre, però non possono più
dilagare e sommergere tutto. Se invece di colonialismo, si dice
"capitalismo", "liberismo", "logica del profitto", "globalizzazione",
tutto si sposta nell'atmosfera astratta, irreale e metafisica della
modellistica sociale ed economica. Se per opporsi al capitalismo e al
liberismo occorre prima elaborare un modello sociale ed economico
alternativo, allora nell'attesa posso anche fare i miei affari.
Quando negli anni '80 arrivò da Bruxelles l'ordine
di chiudere l'acciaieria Italsider di Bagnoli, se i sindacati avessero
pronunciato la parola "colonialismo" avrebbero automaticamente
responsabilizzato il governo e sputtanato tutte le puttanate che diceva
il ministro dell'Industria dell'epoca, De Michelis. Al contrario,
accettando il lessico ufficiale che parlava di esigenze del "Mercato",
i vertici sindacali furono ammessi da De Michelis a
partecipare, assieme con il Banco di Napoli, ad una gigantesca
operazione di saccheggio del denaro pubblico: una finta
ristrutturazione dello stabilimento di Bagnoli, in cui furono gettati
anni e miliardi, per poi chiudere definitivamente, come Bruxelles o,
per meglio dire, la Thyssenkrupp ordinava.
Il punto è che fare i conti con la realtà del colonialismo è un dato che responsabilizza: c'è un'aggressione e bisogna farla semplicemente cessare, non ci sono alternative sociali, economiche o politiche da costruire preventivamente. Se si dicesse che il sud d'Italia è una colonia di consumo dal 1860, e che dal 1943 è diventata anche una colonia militare e di commercio illegale degli Stati Uniti, allora non si potrebbero più coprire le complicità con il colonialismo e gli intrecci affaristici sul denaro pubblico con le cortine fumogene della "questione meridionale", del "problema del Mezzogiorno", dei "problemi di Napoli", ecc.
Certo, i termini di colonialismo e affarismo rappresentano delle sintesi e delle semplificazioni, ma la semplificazione è sempre preferibile alla mistificazione. Parlare, ad esempio, di Occidente e di valori occidentali è un modo di parlare d'altro.
Si dice spesso che il regime iraniano degli ayatollah violi i diritti umani molto di più di quanto non lo facesse il regime dello scià. A parte la pretestuosità di certi confronti, non c'è dubbio che molti Iraniani siano i primi a trovare insopportabile l'oppressione oscurantistica del clero sciita, ma devono confrontarsi col fatto che la legittimazione del regime clerico-islamico proviene dall'avere cacciato la tirannia coloniale della multinazionale BP (ex British Petroleum, ora Beyond Petroleum), di cui lo scià era solo il prestanome. Chi critichi il clero rischia di confondersi con i complici del colonialismo BP, e di questo il clero può farsi forte. Inoltre il clero sciita, invece di chiamarlo colonialismo della BP, lo chiama "corrotto Occidente", giustificando così il suo bigottismo. Faremmo quindi chiarezza e screditeremmo il presunto carattere antioccidentale dei bigottismi religiosi, se dicessimo che non esiste nessun "Occidente", né santo né corrotto, ma solo un colonialismo delle multinazionali.
20 dicembre 2007