Commentario

LA FIOM E LA MENZOGNA DEL WELFARE


Il fatto che il gruppo dirigente della FIOM si sia dissociato dall'accordo governo-confederazioni sul "welfare", costituisce una svolta rilevante, che però va correttamente inquadrata. Sarebbe infatti ingenuo spiegare la scelta dei sindacalisti FIOM in base allo schema consueto della "pressione della base".
La coscienza di classe del dirigente sindacale non è quella dell'operaio, e neppure quella del rappresentante di operai, ma è quella del ceto medio. Il dirigente sindacale vede se stesso come un "quadro" o come un funzionario, e in questa prospettiva investe in termini di carriera, perciò non esita a scontrarsi con la sua base e a tradirla se ritiene che i propri interessi siano in gioco.
Nel 1980 alla  FIAT di Torino la spaccatura tra la dirigenza sindacale e la base operaia assunse toni drammatici, proprio perché la Marcia dei Quarantamila e l'offensiva propagandistica del padronato sui "ceti emergenti" costituirono un appello agli interessi di classe dei dirigenti sindacali. La Marcia dei Quarantamila fu in realtà una mistificazione, non aveva nessun valore emblematico dell'emergere di un nuovo ceto di quadri, e infatti la cassa integrazione alla FIAT colpì non solo operai, ma anche quadri intermedi.
Eppure la mistificazione funzionò poiché in quell'epoca c'erano ancora le condizioni per far credere che si preparasse una nuova stagione di protagonismo dei ceti medi. Molti burocrati sindacali poterono diventare burocrati di Stato, ed in genere il sindacato si è accreditato come veicolo di carrierismo nella pubblica amministrazione.
Ma dopo trenta anni di neoliberismo, il ceto medio ha preso consapevolezza di essere a sua volta sotto attacco, e di trovarsi alle soglie della pauperizzazione e della esclusione sociale. Ad esempio, oggi i sindacati vengono chiamati a sottoscrivere e promuovere una privatizzazione della previdenza sociale che di fatto preclude ogni accesso di carriera nella previdenza pubblica per i dirigenti sindacali. Oggi l'INPS è diretto da ex sindacalisti, perciò se la previdenza pubblica viene meno, il carrierismo sindacale perde una delle sue mete principali.
L'aspetto più paradossale è che i dirigenti sindacali vengono chiamati dal governo a sottoscrivere accordi che vengono giustificati con la necessità di contenere la spesa pubblica, quando essi ormai sanno che sono proprio quegli accordi ad avere aggravato la voragine dei conti pubblici. Le privatizzazioni si sono in effetti rivelate molto più costose del previsto, perciò un servizio che costava dieci, oggi costa cento o mille, ciò a causa della catena degli appalti, subappalti e sub-subappalti a ditte private.
Oggi il "welfare" costituisce la grande menzogna, si fa credere che spesa pubblica e spesa sociale si identifichino, quando invece attualmente la spesa pubblica è egemonizzata soprattutto dai ceti affaristici organizzati nella Confindustria.
I dirigenti confederali sono pronti a proseguire sulla strada delle privatizzazioni perché tendono ad identificarsi direttamente con il ceto politico, ma i dirigenti delle singole federazioni capiscono bene che non ci sono posti di deputato, presidente di Regione o di sindaco per tutti.
In questo periodo la resistenza operaia può quindi avvantaggiarsi di conflitti interni al sistema di dominio e può trovare una sponda in parte della dirigenza sindacale, e soprattutto del ceto medio minacciato dal neoliberismo. Bisognerà però verificare la capacità dei dirigenti FIOM di reggere all'offensiva intimidatoria che li investirà. Il comitato centrale della FIOM è già stato accusato di atteggiamento conservatore e antistorico, il che prepara ovviamente provocazioni e accuse più gravi, soprattutto quella di complicità col terrorismo, che finisce per colpire, prima o poi, tutti i non allineati.    

20 settembre 2007