Commentario
MONTEZEMOLO: IL CAPITALISMO DI NARCISO
Il giornalista Giampaolo Pansa ha rivelato qualche giorno fa di non
essere più di sinistra. Evidentemente Pansa riteneva che nessuno
se ne fosse accorto. Ci sono per la verità anche dubbi
sull'effettività del suo passato "di sinistra".
Dopo aver contribuito a rendere la sinistra quello che oggi è, Pansa può allontanarsene disgustato per scrutare finalmente nuovi orizzonti, da dove si è affacciato il suo nuovo messia, il presidente di Confindustria Montezemolo. Pansa ha perciò già impugnato la consueta bandiera del vittimismo padronale, e piange sulla sorte di Montezemolo, che sarebbe il bersaglio delle incomprensioni e delle invidie del corrotto ceto politico, che proprio il giornale di Montezemolo, il "Corriere della sera", definisce oggi la "casta".
Il vittimismo, e il contestuale uso dell'accusa di invidia per difendersi dalle critiche, non costituiscono in sé una novità del capitalismo. Già agli inizi dell'800, l'economista Percy Ravenstone rilevava che il capitalismo si avvolgeva in un alone mitico e leggendario, che serviva a coprire un atteggiamento di rifiuto puntiglioso di ogni analisi delle sue effettive radici sociali ed economiche. Il mito secondo cui il capitalista privato sarebbe rispettabile in quanto rischierebbe il proprio denaro, veniva facilmente smentito da Ravenstone, il quale dimostrava che il Capitale trova non soltanto la sua origine, ma anche il suo costante sostegno nella spesa pubblica e nella rendita.
Lo stesso termine "capitalismo" costituisce la sintesi artificiosa e arbitraria di forme economiche diverse, che trovano il loro comune denominatore solo nella condizione di privilegio di determinate oligarchie.
Il capitalismo attuale non è perciò diverso da quello di due secoli fa, e la vera novità storica consiste nel fatto che risultano sempre più deboli i suoi contrappesi sociali ed economici. Oggi il ceto politico europeo è stato travolto dall'offensiva colonialistica statunitense, ponendo in evidenza una verità che potrebbe apparire paradossale, e cioè che la relativa autonomia di cui beneficiavano sino a qualche tempo fa gli Stati nazionali europei costituiva soltanto l'effetto dell'esistenza del contrappeso dell'Unione Sovietica.
Un ceto politico del tutto colonizzato e privato della prospettiva della potenza del proprio Stato nazionale, può solo dedicarsi alla ricerca di privilegi e di occasioni affaristiche. L'affarismo trovava infatti il suo limite nelle esigenze della potenza nazionale, anche se ciò non sempre e solo sino ad un certo punto. Ad esempio, Mussolini aveva tollerato senza protestare che le forniture militari della FIAT fossero costantemente al di sotto dello standard minimo di qualità.
D'altro canto, negli anni '50 fu un burocrate di Stato, Enrico Mattei, a porsi il problema delle basi strategiche dello sviluppo economico italiano, e cioè l'energia e la tecnologia, cose che invece al capitalismo privato non interessavano affatto, allora come oggi. Se infatti si analizzano le "linee programmatiche" proposte da Montezemolo, si vedrà che si riducono alla solita formula della umiliazione e precarizzazione del lavoro.
Il "merito" non è una categoria economica, ma una categoria
del moralismo astratto, che serve solo a svolgere la funzione di
criminalizzazione ora di questo ora di quel settore del lavoro. La
criminalizzazione degli statali apre alla Confindustria il business
della privatizzazione dei servizi dell'amministrazione pubblica, ma
certo non le consentirà di agire in termini di sistema
economico, né le interessa.
Montezemolo non parla di energia e tecnologia, perché lì
rischierebbe di entrare nel terreno minato degli interessi coloniali.
L'esibizionismo narcisistico di Montezemolo è quindi soltanto
l'effetto di una mancanza di contrappesi e di avversari, con la
conseguente perdita di ogni timore del ridicolo. Sino a qualche
decennio fa, i capitalisti erano costretti almeno a sforzarsi di
sembrare delle persone serie, oggi invece possono permettersi di
deporre qualsiasi prudenza a riguardo.
31 maggio 2007