Commentario
GLI EROI DEL DEPISTAGGIO
In vista dell'inizio del processo che lo vede imputato in contumacia
per l'uccisione di Nicola Calipari, l'ex soldato della Guardia
Nazionale statunitense Mario Lozano ha rilasciato un'intervista al "New
York Post", intervista nella quale sono riprodotti i consueti schemi
narrativi della propaganda, così come li possiamo abitualmente
riconoscere nei telefilm americani. Ingiustamente perseguitato per aver
fatto solo il suo dovere in condizioni estreme, il povero Lozano
è stato abbandonato dalla moglie, ha dovuto rinunciare a fare il
poliziotto e magari beve per dimenticare. Lozano è la vittima
sacrificale di una concezione astratta e burocratica della giustizia,
che non tiene conto delle difficoltà concrete che si vivono in
zona di guerra.
Il personaggio interpretato da Lozano nell'intervista ricalca quelli
di solito interpretati da Erik Estrada, un personaggio che si
basa sui consueti luoghi comuni razzistico/paternalistici dell'ispanico
un po' deficiente, ma che, se inserito in un sistema, può
svolgervi con buona volontà la sua parte. Per il telefilm che si
produrrà sulla vicenda di Lozano, Erik Estrada non potrà
essere utilizzato per raggiunti limiti di età, ma già
c'è sicuramente pronto qualche attore dello stesso tipo, magari
lo stesso Lozano, che forse non è neppure mai stato un soldato,
ma semplicemente un attore. Nulla di più facile che Lozano non
abbia mai nemmeno messo piede sul posto dove Calipari è stato
ucciso.
Per accorgersi subito che il nome di Lozano era solo un'esca, i
nostri magistrati avrebbero potuto considerare il modo in cui
è venuto fuori questo nome nel 2005. Il suo nome si troverebbe
in un rapporto scaricato dal sito della forza di occupazione
statunitense in Iraq, un rapporto pieno di cancellature. Ciononostante
però un esperto informatico sarebbe riuscito a ricostruirne il
testo integrale. Certo, quelli che gestiscono il sito della forza di
occupazione sembrano un po' troppo ingenui e pasticcioni, ma
probabilmente ci verrà spiegato che anche loro sono degli
ispanici.
Il processo che la magistratura italiana inizierà il 17
aprile contro Lozano si basa su accuse assolutamente generiche e
fumose. Nell'accusa si parla di omicidio volontario, di dolo: ma allora
con quale movente?
I magistrati non ne indicano nessuno, e compensano tale carenza con un
uso disinvolto del termine "oggettivo". Giuliano Ferrara e gli altri
americanofili di professione troveranno quindi la strada spianata per
diffondere le loro consuete lamentele vittimistiche sull'ingratitudine
nei confronti dei poveri americani. Certo, ci verrà fatto
intendere che se al posto di Lozano ci fosse stato un anglosassone dai
nervi d'acciaio, tutto questo non sarebbe accaduto, ma non si
potrà rimproverare il governo statunitense per il fatto che
concede generosamente anche alle razze inferiori di servire il proprio
Paese.
Dopo aver permesso a Lozano la possibilità di interpretare a distanza la parte della vittima, il nostro tribunale probabilmente lo condannerà per un reato minore come l'omicidio colposo, forse concedendogli anche la condizionale.
Questi sarebbero gli eroici magistrati che riscuotono l'ammirazione ed il sostegno incondizionati di Marco Travaglio e degli altri cantori della pubblica moralità: dei magistrati che si lasciano abbindolare dal primo falso documento che gli viene sventolato davanti, e che si prestano a subire qualsiasi depistaggio come se si trattasse di un evento naturale a cui non ci si può sottrarre.
All'inizio degli anni '90, una parte in commedia di questo genere fu
svolta dal magistrato Felice Casson, lo scopritore della "Gladio", il
quale dopo mesi di indagini e di battibecchi con Cossiga, non fece
altro che confermarci nei soliti luoghi comuni della propaganda
ufficiale, e cioè che, nella loro ben nota paranoia
antisovietica, gli americani avevano messo su un altro apparato di
difesa dalle invasioni dall'Est, e si sa che quando gli apparati sono
tanti, anche le "deviazioni" sono più possibili.
Anche nella ricostruzione della vicenda del sequestro di Abu Omar, la
magistratura non è andata oltre questa consueta riconferma dei
tanto pubblicizzati - quanto fasulli - motivi ideologici delle
operazioni statunitensi: l'islamofobia oggi, così come
l'anticomunismo ieri.
In tal modo i magistrati possono passare da eroi della legalità che non hanno timore di scontrarsi con il potere statunitense, senza peraltro mai mettere in evidenza gli effettivi moventi affaristico/criminali di questo potere.
12 aprile 2007