Commentario


LE VIRTÙ GUERRIERE DEGLI OPINIONISTI


La guerra afgana va inasprendosi, con l'alternarsi di offensive e controffensive e con l'aggravante del nuovo caso politico costituito dal sequestro del corrispondente di "La Repubblica". In questa circostanza gli opinionisti hanno potuto dare ulteriore dimostrazione del loro indomito spirito guerriero.
Sul "Corriere della sera", Angelo Panebianco, già distintosi per il suo elogio della tortura, pone la presenza militare italiana in Afghanistan di fronte ad un aut-aut: o intervenire attivamente nei combattimenti o contribuire ad una sconfitta della NATO che segnerebbe la dissoluzione di questa alleanza militare. Panebianco pone il problema nei termini di una semplicità che  appartiene solo ai suoi schemi propagandistici filo-americani, e non alla realtà.
Gli opinionisti descrivono la situazione come viene ritratta di solito nei peggiori film di azione: i militari  impediti a combattere dalla doppiezza dei politici, intimoriti dai pacifisti. È lo schema che viene proposto anche dalle squallide vignette di Forattini. Si tratta di un tipico caso di auto-disinformazione, in cui i propagandisti hanno finito per credere alla loro stessa propaganda. Gli opinionisti non soltanto lucrano sulla propaganda, ma ne vivono avvolti, perciò cominciano a sentirsi davvero degli eroi, una illusione che gli può essere facilmente consolidata diffondendo la notizia che risultano essere nel mirino di questo o quel terrorista, cosa che li pone anche al di sopra di qualsiasi possibile critica.  
In realtà i meno entusiasti all'idea di impegnarsi nei combattimenti pare che siano proprio i militari, e proprio da loro proverrebbe il maggior freno alle brame guerriere degli opinionisti. I militari italiani in Afghanistan sono privi di una propria copertura aerea e dovrebbero quindi affidarsi alle forze armate statunitensi.
I precedenti però non sono incoraggianti. Il 29 marzo 2003, all'inizio della guerra in Iraq, un convoglio di militari britannici subì un pesante bombardamento da parte di un aereo… americano. Il cacciabombardiere A10 che fece fuoco sui Britannici non agì, come al solito si disse, per un errore del "fuoco amico", ma per un brutale ristabilimento delle gerarchie fra alleati. Mentre i Britannici si dislocavano nel sud dell'Iraq per controllarlo, dall'alto i militari statunitensi gli ricordavano chi fosse il vero padrone. Queste gerarchie non sono  poi fine a se stesse, ma corrispondono a interessi affaristici molto precisi.
Americani e Britannici riuscirono ad occupare rapidamente l'Iraq nonostante le difficoltà della loro alleanza, ma ciò fu dovuto al lavoro di "preparazione" dei cosiddetti "ispettori" ONU, che erano in realtà delle spie. Tramite gli "ispettori", gli Stati Uniti non solo vennero a conoscenza  della collocazione di tutti gli obiettivi strategici dell'Iraq, ma poterono addirittura comprare la collaborazione di molti generali irakeni, cosa che determinò la rapida dissoluzione dell'esercito di Saddam Hussein.
Le difficoltà per gli occupanti anglo-americani sono cominciate dopo l'occupazione, quando hanno dovuto vedersela con la guerriglia e hanno dovuto affrontare  il fatto che questa fase dell'evoluzione tecnologica concorre a determinare una inconsueta superiorità strategica della guerriglia rispetto alle forze armate convenzionali. Mentre queste devono scontare le loro difficoltà di coordinamento ed i loro dissidi interni, la guerriglia ha oggi a disposizione delle tecnologie missilistiche efficaci e maneggevoli che possono esser impiegate da piccole bande non necessariamente coordinate tra loro.
Anche nella invasione del Libano da parte di Israele l'anno scorso, i missili antielicottero ed anticarro  di fabbricazione russa degli Hezbollah hanno messo in crisi l'apparato bellico israeliano, così come sta accadendo in Iraq ed in Afghanistan. Che le difficoltà di coordinamento delle forze armate siano dovute ad implicazioni affaristiche, fu confermato dallo scandalo che colpì poco dopo l'invasione del Libano il vertice militare israeliano, di cui si scoprirono una serie di sordide operazioni finanziarie.
Quando Panebianco paventa i rischi di una dissoluzione della NATO come alleanza militare, non tiene quindi conto del fatto che la NATO non è una vera alleanza militare, ma un complesso affaristico che obbedisce a logiche affaristiche e non militari. I militari italiani non potrebbero mai fidarsi degli "alleati" americani, i quali vedrebbero in un controllo del territorio da parte di altre truppe una minaccia ai loro traffici di oppio.
L'attuale impasse in Afghanistan – ma anche in Iraq – è appunto dovuto a questa schizofrenia tra esigenze militari da una lato ed esigenze affaristiche dall'altro. L'esercito statunitense è infatti sempre più inefficiente a causa della privatizzazione dei servizi logistici, affidati dall'ex Segretario di Stato Rumsfeld alle ditte private legate alla sua cosca affaristica.
L'aviazione statunitense – che è coinvolta nel traffico di oppio – dovrebbe offrire oggi la copertura aerea a quei militari italiani che essa vede come potenziali concorrenti in quello stesso traffico. La situazione reale della NATO non somiglia quindi ai film di Rambo, ma a quei film che parlano di rapine, in cui ciascuno dei complici cerca di fregare l'altro. 

15 marzo 2007