Commentario
Caso Sofri: il movente di una vendetta
Le condizioni di salute di Adriano Sofri hanno riproposto in questi
giorni all'attenzione uno dei casi giudiziari più assurdi e
misteriosi della Storia. Condannato sulla base della testimonianza
contraddittoria di un sedicente pentito, oggi l'ex capo di Lotta
Continua, dal carcere dov'è rinchiuso, svolge un ruolo di "padre
nobile" nel sistema della comunicazione. Con eleganza dialettica, Sofri
ripropone i più triti luoghi comuni della propaganda ufficiale,
rendendoli appetibili al palato dei raffinati. Ma si tratta degli
stessi luoghi comuni in base ai quali egli ha potuto essere condannato
senza prove.
Su "Panorama" del 27/9/2001, Sofri liquidava così i dubbi di
fronte alle incongruenze della versione ufficiale sul crollo delle Twin
Towers: "Il difficile non è di sventrarli con un aereo civile, i
grattacieli: il difficile è pensare di farlo. La gente
sopravvaluta la difficoltà tecnica perché è brava
gente e non si è posta il problema. I terroristi pensano cose
che gli altri non accettano di pensare, e questa è la loro vera
forza".
Insomma la cattiveria del terrorista è sufficiente a spiegare
come egli superi qualsiasi ostacolo e qualsiasi difficoltà.
Questo è lo stesso motivo per il quale i giudici non si sono
fatti carico di spiegare come quattro improvvisati - Sofri, Bompressi,
Pietrostefani e Marino - abbiano potuto organizzare e realizzare un
attentato contro una persona abile e ben protetta come il commissario
Calabresi. A sua volta, Sofri non si è mai veramente difeso nei
tanti processi in cui è stato giudicato, non si è mai
posto il problema di domandare ai suoi accusatori se Calabresi fosse o
meno ritenuto in pericolo dai suoi colleghi. Possibile che un
commissario di polizia nell'occhio del ciclone non fosse sotto scorta?
Queste domande Sofri non le ha rivolte, perché sarebbero state
implicitamente un dito puntato contro i soli che avevano la
possibilità tecnica ed il movente per uccidere Calabresi: i suoi
colleghi poliziotti. Sofri doveva subire un processo per calunnia per
la sua campagna giornalistica contro Calabresi. Questi avrebbe
mantenuto la calma o avrebbe finito per coinvolgere gli altri
responsabili dell'assassinio di Pinelli?
Sofri è rimasto nell'ambiguità, non fuggendo - come gli
era stato consentito di fare -, un'ambiguità rivendicata con
dignitosa coerenza, come la costante di una vita in cui i mutamenti
sono stati più apparenti che sostanziali. Chi sia stato
realmente Sofri e cosa sia stata realmente Lotta Continua, non è
facile rispondere. Certo è che persino negli ingenui anni '70,
non si poteva fare a meno di notare come al pressappochismo ideologico
e organizzativo di Lotta Continua corrispondesse una vitalità
assicurata da trasfusioni di valuta di dubbia provenienza.
Le ambiguità di Sofri non risolvono il mistero. Perché
egli è stato colpito a tanti anni di distanza. Per quale
movente? Depistaggio?
Forse, ma comunque non sarebbe una risposta sufficiente.
Nell'accanimento contro Sofri che ancora oggi dimostrano gli esponenti
del partito della polizia (cioè Alleanza Nazionale), si
intravede un rancore che non si placa. La vendetta può essere
stato il movente della macchinazione contro Sofri, non la vendetta
contro l'assassino di Calabresi, ma la vendetta contro colui che
avrebbe reso "necessario" questo omicidio.
I poliziotti non sono macchine, ma esseri umani che vivono fra loro
autentiche relazioni affettive oltre il limite della morbosità.
Lo spirito di corpo per loro non è un modo di dire, ma una
condizione esistenziale. I poliziotti possono essere persone
intelligentissime e furbissime, ma la loro maturazione emotiva supera
raramente lo stadio dell'adolescenza. La totale mancanza di scrupoli
dei poliziotti non è dovuta ad un freddo calcolo, ma alla
assoluta convinzione di essere delle vittime. Quando sono costretti ad
eliminare dei loro colleghi - cosa che capita assai spesso: gli
assassini di poliziotti sono quasi sempre altri poliziotti - rimane
comunque in loro un sincero desiderio di vendetta, che si indirizza
verso chi, secondo loro, li abbia messi in condizione di fare
ciò che hanno fatto.
Comidad, 1 dicembre 2005