Commentario

General Motors: la "crisi" copre il conflitto di classe


Da quando la multinazionale General Motors ha annunciato le sue perdite, il bollettino della crisi ha seguito il rituale consueto e consolidato, un rituale che ha uno sbocco altrettanto prevedibile e obbligato, cioè il licenziamento di decine di migliaia di operai. Nel frattempo l'informazione ufficiale ci sta spiegando che i guai della multinazionale di Detroit sono conseguenza della spietata concorrenza delle emergenti potenze economiche dell'Asia.

Nel rituale, con tutta probabilità, rientreranno anche i commenti della sinistra di opposizione, che ci parlerà del capitalismo sensibile solo alle leggi del profitto e del mercato, e perciò indifferente ai problemi umani. In realtà il capitalismo è una relazione umana - una relazione di potere fra esseri umani - e va analizzato proprio come tale.

Alla fine degli anni '70 ed inizio anni '80, i tagli ed i licenziamenti furono spiegati con la concorrenza del colosso economico giapponese. Oggi il nuovo "pericolo giallo" è rappresentato dalla Cina e dai suoi mostruosi tassi di sviluppo. Sia il richiamo alla potenza economica cinese che a quella giapponese, costituiscono però l'elemento di un tipico sofisma della propaganda: si prendono dei fatti reali ed incontestabili, ma si stabilisce tra loro una relazione del tutto fittizia.

L'emergente potenza economica cinese è un dato di fatto, ma è tutto da dimostrare che la concorrenza asiatica possa spiegare la presunta crisi della GM e l'altrettanto presunta inevitabilità dei licenziamenti. La mitologia del mercato serve a coprire una realtà economica in cui il potere delle oligarchie è assicurato da una rete di protezionismi doganali. Ad esempio: la schiacciante superiorità agricola degli Stati Uniti, in un settore strategico come quello del grano, è certamente motivata da oggettivi fattori geografici, ma è anche perpetuata da dazi e sanzioni che colpiscono i potenziali concorrenti. Le multinazionali del grano non si cimentano mai col mercato: vengono protette sia contro i potenziali concorrenti, sia contro le rivendicazioni dei produttori agricoli americani, remunerati sempre al minimo.

Il problema è che l'ideologia della crisi e del mercato serve a coprire la realtà del conflitto di classe. Per il capitalismo, le concentrazioni operaie stabili costituiscono da sempre una spina nel fianco. L'organizzazione del lavoro tende a divenire un'opposizione organizzata, che mette in questione il potere assoluto delle oligarchie. Il garantismo sindacale diviene infatti l'aggancio per tutta un'altra serie di garanzie sociali e giuridiche.

Proprio per il fatto che costituiscono un contrappeso sociale al potere delle oligarchie, le concentrazioni operaie devono essere ciclicamente destabilizzate, anche se i capitalisti coprono il loro movente di classe con lo spauracchio del nemico esterno.

Anche la credibilità dei bilanci aziendali è tutta da dimostrare. La Enron e la Parmalat erano in perdita, ma, proprio per questo, non segnalavano nessuna perdita. Al contrario, la GM, denunciando le proprie presunte perdite, è entrata in una sorta di stato di grazia. Al momentaneo calo del titolo in borsa, corrisponde un immediato rialzo alla notizia dei prossimi licenziamenti e degli sgravi fiscali con cui il governo li finanzierà.

Quest'ultimo aspetto va tenuto in debito conto: i licenziamenti di massa non sono mai un'operazione a costo zero, dato che scompaginano la produzione, e perciò vanno incentivati dal governo. Anche i licenziamenti di massa operati a Mirafiori all'inizio degli anni '80 furono sovvenzionati dal governo di unità nazionale, che aveva versato oltre sessantamila miliardi nelle casse della FIAT, in base alla legge per la riconversione industriale.

Comidad, 24 novembre 2005