Commentario

SCIOPERO GENERALE: THE DAY AFTER


In questi giorni stanno crescendo le pressioni sulla CGIL perché si decida a convocare uno sciopero generale, che costituisca sia una risposta alla querula arroganza della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sia una affermazione della volontà di non trasformare la attuale crisi finanziaria internazionale in un'ulteriore occasione di umiliazione del lavoro. In questa campagna per lo sciopero generale, il quotidiano "Il Manifesto" sembra aver assunto l'iniziativa, cosa che sarebbe positiva, sempre che la posizione del quotidiano non manifestasse le consuete ambiguità e reticenze.

La diffidenza in questi casi è d'obbligo, dato che, dalla vertenza FIAT del 1980, siamo abituati ad assistere a lotte che vengono lanciate soltanto per preparare le condizioni di sconfitte ancora più gravi. Ciò che manca infatti nella posizione de "Il manifesto", è l'illustrazione delle reazioni a cui si andrebbe incontro, se il segretario della CGIL Guglielmo Epifani decidesse davvero di convocare lo sciopero generale.

Anche la storia recente insegna. Quando l'allora segretario della CGIL Cofferati si oppose alla legge 30 sulla precarizzazione del lavoro, gli arrivò, puntuale, l'accusa di essere stato il mandante morale dell'assassinio del presunto autore del testo di quella legge, il professor Marco Biagi. Nulla di strano che, di lì a poco, Cofferati abbia preferito lasciare la direzione della CGIL per dedicarsi a fare il sindaco sceriffo, ovvero il cacciatore di presunti terroristi nei centri sociali e nella stessa CGIL. Di fronte ad una campagna che lo accusava di complicità con le Brigate Rosse, Cofferati ha pensato solo a salvare se stesso, e niente ci garantisce che nella stessa situazione Epifani non farebbe altrettanto.

Una CGIL che accettasse di andare ad uno scontro sociale - anche solo per poter ritornare alla trattativa con Confindustria da posizioni meno subordinate di quelle di CISL e UIL - sarebbe fatta immediatamente oggetto di una campagna di accerchiamento politico e mediatico, in cui si distinguerebbe la cosiddetta comunicazione di "sinistra". "La Repubblica" e "Annozero" diffonderebbero sondaggi "imparziali", in cui alla domanda "Epifani è un criminale irresponsabile che minaccia di affondare l'economia?", il 99% degli intervistati risponderebbe immancabilmente di sì. Tutto questo avverrebbe in un clima avvelenato, fatto di pacchi-bomba e lettere esplosive indirizzate agli opinionisti del "Corriere della sera", ai segretari di CISL e UIL, ed ai dirigenti confindustriali, mentre altri arresti di sospetti brigatisti verrebbero operati tra gli iscritti alla CGIL.

Di tutto questo Epifani verrebbe indicato come moralmente e materialmente responsabile. Chi difenderebbe Epifani in una situazione del genere? Magari la Rossana Rossanda? O questa ci propinerebbe invece un altro saggio per convincerci che il terrorismo fa parte dell'album di famiglia della sinistra italiana?

Magari lo difenderebbe "l'Unità"? Ma non è proprio "l'Unità" che l'ultimo 6 ottobre ha avallato l'accusa, senza uno straccio di prova, ad un assessore della giunta di centrosinistra di Napoli, di connivenza con la camorra per aver egli osato opporsi alla riapertura della discarica di Pianura?

In effetti "l'Unità" non si è posta neppure una domanda sulla credibilità del pasticcio confezionato dalla DIGOS di Napoli, che ha arrestato, in base alla "par condicio", sia un esponente della giunta che uno dell'opposizione, individuandoli come tasselli di una grande congiura di cattivi, a cui parteciperebbero tifosi ultras, camorristi ed estremisti di sinistra.

Anche Epifani, e forse anche i suoi collaboratori ed i suoi familiari, non sfuggirebbero a loro volta ad accuse di collusione mafiosa, di corruzione, ed anche di molestie sessuali e di pedofilia. Epifani dovrebbe discolparsi non solo dall'accusa di connivenza con le BR, ma persino con Al Qaeda e con il Clan dei Casalesi.

Nella culla della democrazia, il sindacalista americano Jimmy Hoffa fu prima diffamato dal ministro della giustizia Robert Kennedy con accuse di collusione mafiosa, poi fatto uccidere dai servizi segreti per indurre l'opinione pubblica a credere che la stessa mafia avesse regolato i conti con lui. E la colpa di Jimmy Hoffa non era di volere la rivoluzione, ma solo di chiedere aumenti salariali.

Davvero Epifani è disposto ad andare incontro a tutto questo? Ne dubitiamo. Già nel corso dell'organizzazione dello sciopero generale, una CGIL sotto ricatto potrebbe esprimere ambiguità, esitazioni e ripensamenti che condurrebbero facilmente ad un fallimento dello sciopero stesso, con tutte le conseguenze prevedibili per la futura capacità di resistenza dei lavoratori.

La proposta di sciopero generale, giusta nel principio, diventa perciò velleitaria e suicida se non si tiene conto del contesto in cui si opera, cioè quello di una democrazia, la quale non riconosce la possibilità di un dissenso al suo interno, ma solo di mafiosi e terroristi. In questo senso, l'allevamento dei "mostri" mafiosi e terroristi da parte delle istituzioni democratiche, non è un elemento accessorio o degenerativo della democrazia, ma costituisce una componente organica della sua rappresentazione del potere; ciò in quanto il totalitarismo democratico è fondato sulla diffamazione e sulla distruzione morale dei suoi avversari, anche quando questi avversari non abbiano mire rivoluzionarie, ma solo di timida difesa dei diritti del lavoro.

Non può esservi quindi nessuna difesa del lavoro, senza una visione realistica del sistema democratico.

9 ottobre 2008