Commentario
LA RUSSIA, L'OSSEZIA E IL MODELLO HONDURAS
La vicenda della guerra tra Russia e Georgia, viene presentata dai
media "occidentali" secondo questa versione: la provincia georgiana
dell'Ossezia, a maggioranza russa, a imitazione di quanto avvenuto nel
Kosovo, proclama la sua indipendenza, cosa che provoca l'intervento
militare del governo georgiano e una conseguente risposta russa a
sostegno dei separatisti.
Lo scenario proposto potrebbe apparire plausibile e, per certi aspetti,
persino "comprensivo" verso la Russia, ma se andiamo a valutare le
notizie, ci si accorge immediatamente che appaiono monche di
particolari essenziali; ad esempio: non ci viene chiarito come, quando
e in che termini sarebbe avvenuta questa dichiarazione d'indipendenza
dell'Ossezia - a cui ora si è aggiunta anche la provincia
dell'Abkhazia-, e soprattutto che ruolo ha avuto nella vicenda
l'esercitazione militare congiunta compiuta da truppe georgiane e
statunitensi alla fine di luglio ai confini della Russia.
L'aspetto più improbabile della rappresentazione mediatica
appare il ruolo del presidente Bush, "preoccupato per la
destabilizzazione dell'area del Caucaso", e che ha invitato i
contendenti a cessare il fuoco, cosa che non gli sarebbe dovuta
risultare difficile da ottenere, dato che il presidente georgiano
è notoriamente un dipendente di Washington, che smania di
entrare nella NATO e che, per acquisire meriti a riguardo, ha inviato
truppe per partecipare all'occupazione dell'Iraq; truppe che ora gli
sono state gentilmente rispedite indietro da Bush con
un'operazione-lampo, a dimostrazione di quanto sia effettiva la
volontà statunitense di far cessare i combattimenti.
Insomma, ci sono vari indizi per ritenere che il tutto costituisca
l'ennesima provocazione di Bush contro Putin, che, sebbene non
più presidente, è ancora il vero padrone della Russia, o,
per meglio dire, il capo della casta affaristica che discende dalla
ex-nomenklatura sovietica. Se Putin sia caduto nella provocazione, o se
abbia lui stesso deciso di anticipare i tempi del confronto, è
ancora presto per dirlo.
Certo che l'ostilità aperta con cui Putin è stato
trattato dal sedicente "Occidente" negli ultimi anni, rende piuttosto
irrealistico un ruolo di mediazione degli USA e poco probabile uno
della UE, quindi bisognerà verificare l'effettiva tenuta del
piano di pace proposto da Sarkozy e accettato dal presidente russo
Medvedev; né la NATO ha molte carte da giocare nella partita,
visto che la Russia non è l'inerme Serbia, ma la prima potenza
missilistica del pianeta, dato che da tempo ha scavalcato gli Stati
Uniti, impegnati a versare miliardi al loro complesso
militare-affaristico per arrivare ad uno "scudo spaziale" che, a detta
di tutti i fisici, è una pura bufala.
Quando Bush dichiara che la vicenda dell'Ossezia rischia di
compromettere i suoi rapporti con la Russia, fa una minaccia priva di
senso, data la campagna di accerchiamento e di ostilità
crescente e generalizzata di cui è stato fatto oggetto Putin in
"Occidente" (con la sola eccezione di Berlusconi, grato allo stesso
Putin del fatto che sia l'unico leader mondiale che non lo tratta come
un deficiente, ma anzi con un particolare riguardo).
Le provocazioni statunitensi contro Putin erano del resto già
cominciate all'epoca di Clinton, con l'affondamento di un sommergibile
atomico russo in esercitazione. In quella occasione Putin mantenne la
calma e mise tutto a tacere, evitando accuratamente di rispondere alle
domande dei familiari dei membri dell'equipaggio scomparso.
I motivi di questa ostilità statunitense potrebbero esser
individuati nel fatto che Putin ha gradualmente estromesso dall'affare
del gas e del petrolio russi la multinazionale anglo-americana BP
(Beyond Petroleum, già British Petroleum). La definitiva
estromissione della BP è avvenuta, guarda caso, poche settimane
fa, dopo di che sono sopravvenute l'esercitazione militare congiunta
USA-Georgia e l'attacco georgiano all'Ossezia.
Putin non è più comunista - ammesso che lo sia mai stato
-, ma per il governo USA è da considerarsi comunista chiunque
non favorisca gli interessi affaristici delle multinazionali
anglo-americane. Del resto il concetto di comunismo è sempre
risultato estremamente dilatabile, sino a comprendervi qualsiasi
provvedimento a favore del lavoro; in questo senso tutta la diatriba
ideologica dei riformisti contro i rivoluzionari, non tiene conto del
fatto che per il padronato anche la più timida garanzia per i
lavoratori viene considerata una minaccia rivoluzionaria, e trattata
come tale.
A differenza di altri bersagli dell'odio statunitense - come Chavez -,
Putin si è guardato bene dal fare una politica a favore del
lavoro, ma comunque le sue azioni possono essere fatte rientrare nella
categoria del nazionalismo economico, che per le multinazionali
rappresenta una minaccia affine al comunismo.
Proprio perché temeva le reazioni statunitensi, Putin, prima di
liberarsi della BP, aveva anche cercato inutilmente un compromesso,
chiedendo di rinegoziare i contratti con questa multinazionale. I
contratti in questione prevedevano l'introito del novanta per cento
degli utili alla BP, ed il rimanente dieci per cento alla Russia,
previo però il rientro delle spese da parte della stessa BP;
spese che però, misteriosamente, non rientravano mai.
Come al solito gli USA hanno rigettato ogni ipotesi di compromesso,
perché vedono in ogni accordo una minaccia. È uno stile
che fa parte della storia statunitense: dopo la seconda guerra
mondiale, il presidente Truman rigettò sistematicamente ogni
ipotesi di accordo avanzata da Stalin, il quale, con il suo solito
opportunismo, arrivò persino a chiedere, inutilmente, di
partecipare al Piano Marshall. Truman lanciò nel contempo una
campagna di guerra psicologica che fece passare l'atteggiamento
sovietico come politica del "niet", riuscendo così a scaricare
per intero la responsabilità della guerra fredda sull'Unione
Sovietica.
Qualche commentatore americano ha osservato che la pretesa, di Clinton
prima e di Bush poi, di trattare la Russia da colonia, come se fosse
l'Honduras, è stata forse un po' eccessiva; un'osservazione che,
a quanto pare, non ha suscitato riflessione nel governo USA, ma solo in
Honduras.
D'altra parte, anche se la provocazione di Bush dovesse rivelarsi un
fiasco, i rischi di perdita d'immagine per gli USA appaiono abbastanza
contenuti, poiché risulta già in atto una campagna
propagandistica che scarichi la colpa di tutto sui "pavidi Europei",
che avrebbero consentito l'intervento russo frenando l'adesione alla
NATO della Georgia. Pare che i governi europei siano disposti ad
accollarsi questa colpa, il che indica che almeno con loro il modello
Honduras risulta applicabile.
14 agosto 2008