Commentario
DISINFORMAZIONE A MANO ARMATA
Il prossimo 25 luglio scadranno i termini per la raccolta delle firme
per i tre referendum che propongono l'abolizione dell'Ordine dei
giornalisti, il finanziamento pubblico ai giornali, ed anche della
legge Gasparri sulle televisioni. Ancora non è chiaro se i
referendum saranno ritenuti ammissibili o meno, data l'interferenza
dello scioglimento anticipato del Parlamento, ma la questione
più interessante riguarda piuttosto la validità degli
obiettivi che vengono prospettati.
L'idea di una deregulation del giornalismo, affidato semplicemente
al "mercato" dei lettori paganti, rappresenta davvero un'ipotesi
realistica?
Come al solito la proposta referendaria, nel denunciare l'asservimento
del giornalismo in Italia, finisce per configurare un mitico "altrove",
in cui il giornalismo starebbe svolgendo davvero un servizio
informativo nei confronti dei cittadini.
Secondo gli schemi razzistici ufficialmente consolidati, questo mitico "altrove" sarebbe, ovviamente, identificabile con i Paesi anglosassoni; dove, al contrario, la libertà di informazione appare o scompare a seconda delle esigenze delle cosche affaristiche, in particolare di quelle del cosiddetto complesso "militare-industriale". A posteriori si sono talvolta create delle leggende sull'influenza che la stampa avrebbe avuto nello screditare alcune guerre, come quella in Vietnam; in realtà, non soltanto la stampa statunitense, ma anche quella britannica, risultarono allineate al governo USA sino alla fine, prendendo le distanze dalla guerra solo quando il governo stesso decise di ritirare le truppe dal Vietnam.
Storicamente, infatti, il giornalismo non nasce per servire la
"opinione pubblica", ma per formarne una compatibile con le esigenze
belliche.
La miseria del giornalismo reale stimola il desiderio di un giornalismo
ideale, ma questo giornalismo ideale non ha mai avuto nessun aggancio
con nessuna realtà. La militarizzazione del giornalismo non
è un elemento contingente o accessorio, ma qualcosa di
ineliminabile dalla funzione dell'informazione/disinformazione nel
quadro della guerra moderna e del colonialismo.
In altre parole, il giornalismo è sempre stato un'arma da
guerra, e la sua funzione è incomprensibile al di fuori
dell'intreccio militarismo/affarismo/servizi segreti. Giornali e
servizi segreti sono nati addirittura insieme per funzionare come
strumenti gli uni degli altri.
È fuorviante quindi attirare l'attenzione sull'Ordine dei
giornalisti, quando l'inquadramento più significativo che
riguarda questa categoria, non è certo quello dell'ordine
professionale, bensì la dipendenza dai servizi segreti, sia
militari che civili.
L'occupazione militare di un territorio si basa su procedure precise, codificate ormai da due secoli. Queste procedure prevedono il reclutamento in loco, da parte delle forze militari occupanti, sia di criminali comuni che di giornalisti, i primi da usare per raccogliere informazioni vere, i secondi per affidargli la diffusione di informazioni false, atte a disorientare il nemico; un nemico nel quale viene inclusa anche, e soprattutto, la popolazione del Paese occupato.
Quando le forze militari USA giunsero a Napoli nel 1943, seguirono anch' esse questo tipo di prassi: arruolarono sia un criminale comune come Giuseppe Navarra per la gestione dei traffici illeciti con le basi USA, sia un giornalista affermato come Curzio Malaparte per la costruzione dello scenario esotico in cui collocare le imprese di quel tipo di personaggi. Curzio Malaparte aveva già lavorato a Parigi per l'OVRA di Mussolini, e quindi poteva vantare un'esperienza sul campo da mettere al servizio dei suoi nuovi padroni. Malaparte - giornalista, spia e agente provocatore – inoltre usò a Parigi metodi e legami di criminalità comune per perseguitare gli antifascisti in esilio.
L'associare la funzione del giornalismo a quella della criminalità comune, indica perciò da parte dei militari una percezione realistica dei metodi e della psicologia di gran parte dei giornalisti. Il reclutamento dei giornalisti si fonda infatti su una selezione attitudinale che finisce per tagliare fuori tutti i soggetti dotati di scrupoli. La sensazione di trovarci di fronte ad un criminale comune risulta più evidente nel caso di un Vittorio Feltri e meno in altri, ma, se si osserva con attenzione, ci si può accorgere che nell'atteggiamento dei giornalisti vi sono delle costanti riscontrabili in generale.
Quando ci viene puntata contro una pistola, tendiamo tutti a renderci conto di essere oggetto di una minaccia; purtroppo, quando ci viene offerto un giornale - magari uno di quei giornalini quotidiani gratuiti -, la consapevolezza di essere sotto minaccia ci viene a mancare. L'informazione/disinformazione non è percepita come un'arma, e proprio questa è una delle maggiori chiavi della sua micidiale efficacia. Il complesso militare/industriale produce e vende bombe, carri armati, ecc., allo stesso modo in cui produce e vende informazione/disinformazione televisiva o stampata.
10 luglio 2008