Commentario
LE ARMI DELLA PSYCHOLOGICAL WAR
L'ideologia elettoralistica possiede un tale potenziale mistificatorio
che finisce per coinvolgere anche parte di coloro che, pur
sinceramente, si ritengono degli astensionisti. A distanza di settimane
dall'ultima scadenza elettorale, continua infatti a mietere vittime la
cortina fumogena sparsa dai media con il doppio scopo, da un lato, di
dissimulare la rigida prevedibilità del meccanismo elettorale,
e, dall'altro lato, di far credere che le elezioni costituiscano un
indicatore attendibile circa i mutamenti sociali ed epocali in corso.
Negli ultimi trenta anni i media ci hanno proposto innumerevoli, e
presunte, "svolte epocali": il Riflusso, il post-industriale, la
scomparsa della classe operaia, la società complessa, la fine
del comunismo, il tramonto delle ideologie, la fine della lotta di
classe, la fine della Storia, il risveglio etnico, la globalizzazione,
ecc.; persino l'11 settembre 2001 ci è stato imposto come
una data epocale, del tipo 476, l'inizio del medioevo, o 1492, l'inizio
dell'era moderna.
Ora ci si vuole convincere che anche il crollo della sinistra
"radicale" nelle ultime elezioni debba esser fatto rientrare nel
consueto schema mediatico del "dacci oggi la nostra svolta epocale
quotidiana".
In realtà, se si sta semplicemente alle percentuali elettorali,
si può subito notare che non c'è stato nessun esodo
biblico di voti da uno schieramento all'altro. I voti operai passati
alla Lega esistono solo nelle ipotesi giornalistiche. Del resto una
quota consistente di voto operaio di centro-destra è sempre
esistita, specialmente nelle aree in cui prevalgono le piccole imprese
che, spesso, controllano anche il voto dei loro dipendenti. Purtroppo
sono sempre esistiti anche casi in cui padronato, amministratori locali
e sindacati hanno gestito in collaborazione aree di voto operaio.
Persino dei voti dell'elettorato della sinistra "radicale" che,
secondo le voci giornalistiche, a Roma sarebbero andati al candidato di
destra Alemanno, non c'è alcuna traccia precisa nei numeri del
risultato elettorale, perciò a pesare sul dibattito politico
attuale è un evento del tutto dovuto all'immaginario mediatico
e, perciò, tanto più "epocale".
Compito dei soliti psicobrogli elettorali è proprio convincerci
che i giudizi espressi dal voto costituiscano un segnale di movimenti
profondi della società, ma, se si guarda oggettivamente il
risultato, c'è semmai da stupirsi che Bertinotti sia riuscito a
rimediare quasi il quattro per cento. La vera sorpresa delle elezioni
è infatti scoprire ogni volta quanto siano rigidi i
comportamenti elettorali.
Nonostante la vacuità del messaggio di Bertinotti e lo sfarzo
esibizionistico delle sue lussuose giacche di tweed, l'elettorato di
appartenenza in gran parte non lo ha tradito. Le vere domande semmai
sono altre: quanti elettori sapevano dello sbarramento al quattro per
cento? Perché l'informazione ufficiale non si è
preoccupata di ricordare questa norma? Perché neppure Bertinotti
ha avvertito del pericolo i suoi potenziali elettori, che sono poi
trasmigrati in parte verso la Sinistra Critica e verso il PCLI?
Il fatto è che Bertinotti è andato al massacro ben
consapevole di andarci e senza far nulla per evitarlo. Ha anche
accettato senza reagire che il voto organizzato dalla CGIL e dalla Lega
delle Cooperative si riversasse per intero su Veltroni, non tentando
mai di utilizzare la presenza capillare di Rifondazione Comunista nelle
amministrazioni locali per convincere i baroni del voto a continuare a
dargli una mano come già avevano fatto in passato.
La domanda vera, alla fine, è: cosa è stato promesso al
gruppo dirigente della "sinistra radicale" per indurlo a subire questa
liquidazione politica?
Qui assistiamo ad una vicenda molto poco epocale - e invece molto
consueta - di corruzione e/o ricatto nei confronti dei gruppi dirigenti
della sinistra.
La guerra psicologica nel frattempo si sta incaricando di trasformare
il suicidio elettorale di Bertinotti e soci, in una ennesima sconfitta
storica dei lavoratori, in una ulteriore "prova" della loro scomparsa
come soggetto sociale. Il problema è che i movimenti non nascono
dal nulla, ma si alimentano dell'impegno di piccole minoranze
organizzate. Lo "svoltepocalismo" costituisce un'arma psicologica per
suggestionare e demoralizzare queste minoranze, per indurle a credere
che i punti di riferimento vengono a mancargli, in modo da convincerle
che arrendersi al corso della "Storia" costituirebbe da parte loro un
atto di responsabilità e di lucidità.
Il cambiamento storico è un dato di fatto, ma gli scenari di
mutamento proposti dai media non sono mai rappresentativi della reale
evoluzione sociale nel suo complesso, ma solo di quel particolare
sistema che è la guerra psicologica. Sarebbe quindi un errore
considerare gli argomenti della guerra psicologica come se fossero
l'espressione di un pensiero politico-strategico. Si tratta invece di
qualcosa di analogo ad un messaggio pubblicitario, cioè ad una
suggestione che fa direttamente appello al conformismo di ciascuno.
Quanto più l'obiettivo è meschinamente affaristico - o
addirittura criminale/affaristico -, tanto più il messaggio
pubblicitario sarà iperbolico, distraendo l'attenzione con
l'evocazione di passaggi epocali o di salvataggi dell'umanità.
La guerra psicologica ottiene cioè il suo risultato provocando
uno stato confusionale. Uno dei classici della guerra psicologica
è la dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America,
redatta da Thomas Jefferson, in cui si afferma, ad esempio, che sono
"di per sé stesse evidenti le seguenti verità". Il lampo
di genio del pubblicitario Jefferson sta proprio nella locuzione "di
per se stesse", utile a creare quel tanto di confusione mentale da
indurre la suggestione.
Se ci fosse stato scritto semplicemente "evidenti", si sarebbe potuto
subito obiettare che non sono evidenti affatto, invece quel "di per se
stesse" sposta l'attenzione dalle presunte verità a
qualcos'altro. Si noterà che è la stessa tecnica della
fiaba dei vestiti dell'Imperatore, in quanto ci si suggerisce che se
quelle verità non le vedi è colpa tua, c'è
qualcosa di sbagliato in te.
Il conformismo è un meccanismo sociale basato appunto sul farti
sentire inadeguato ed indurti a rimediare attraverso comportamenti
imitativi. La pubblicità usa la suggestione conformistica per
costringerti a comprare un prodotto che dovrebbe, miticamente, sanare
questa tua condizione di inferiorità. I messaggi pubblicitari
penetrano in modo inconsapevole, per cui finiscono per subirli anche
persone che razionalmente li rifiuterebbero.
Ad esempio, mentre Ratzinger, davanti all'assemblea dell'ONU,
giustificava il colonialismo e il disprezzo del Diritto internazionale
in nome della sacralità dei "Diritti umani", incautamente - e
involontariamente - alcuni commentatori di sinistra riprendevano questa
retorica salvifica per sostenere le ragioni dell'invasione cinese del
Tibet.
Affermare che questa invasione avrebbe salvato il Tibet dal sistema
tirannico/feudale del lamaismo, non è molto diverso dal parlare
di esportazione della democrazia. La guerra umanitaria viene
giustificata infatti con un razzismo umanitario, cioè con la
necessità del colonialismo per salvare popoli inetti, incapaci
di farlo da soli.
Anche un commentatore di solito molto serio e concreto come il filosofo
Domenico Losurdo, è caduto nella trappola, lanciando astratti
confronti tra il Tibet attuale e la condizione medievale in cui versava
prima dell'invasione cinese del 1950, e si è chiesto se i
Tibetani sarebbero disposti a tornare a quella condizione di
servitù. In realtà il sistema lamaistico si fondava
sull'isolamento geografico, che nel 1950 era già stato spezzato
dai trasporti aerei, tanto che ormai il Tibet versava in una condizione
di instabilità ai limiti della guerra civile. Inoltre questo
Tibet immobile è un'immagine caricaturale, degna del film
"Sette anni in Tibet".
Quando i comunisti cinesi hanno invaso il Tibet nell'ottobre del 1950
il sistema lamaistico era già in crisi, e Mao era soprattutto
preoccupato che gli altopiani tibetani diventassero una base del
Kuomintang e degli USA, come Taiwan. Nel 1950 la Cina era già
impegnata nella guerra di Corea contro gli Stati Uniti ed era a rischio
di bombardamento atomico.
Come mai nessuno se ne è ricordato? Ecco un caso in cui le
presunte verità "di per se stesse" evidenti, non hanno fatto
notare ciò che avrebbe dovuto essere effettivamente evidente, e
cioè la contemporaneità dell'invasione del Tibet con la
guerra di Corea. Anche a Taiwan, l'invasione degli Americani e dei
nazionalisti cinesi ha provocato un genocidio materiale e
culturale della popolazione preesistente, ed anche questo nessuno l'ha
ricordato.
La situazione di guerra e di minaccia da parte degli USA e del
Kuomintang in cui versava la Cina nel 1950, non giustifica la sua
invasione del Tibet, ma almeno la contestualizza al di fuori degli
schemi del razzismo umanitario, che sono più consoni a moventi
affaristico/criminali. Ripetendo automaticamente le formule del
razzismo umanitario, molti commentatori di sinistra si sono invece
impediti di vedere che il Dalai Lama è il più contrario
ad ogni ipotesi di boicottaggio delle Olimpiadi, e che tali minacce
provengono da cosche affaristiche euro-americane, che si propongono
così di ricattare il governo cinese, per estorcergli migliori
condizioni per le sponsorizzazioni e per i contratti pubblicitari
legati al business olimpico.
Allora, che senso ha insistere sulla tesi di un Tibet bisognoso di
essere salvato dal suo oscurantismo, quando ciò finisce per
legittimare altri "salvataggi" come quelli dell'Iraq e dell'Afghanistan?
8 maggio 2008